148mila visitatori: si chiude così, con un numero da capogiro, l’ultimo Salone Internazionale del Libro di Torino. Nata come l’edizione più discussa di sempre, la 32esima stagione della fiera editoriale più prestigiosa di Italia conferma il successo della kermesse piemontese ormai garanzia di qualità e di successo inattaccabili.
Vani, dunque, i tentativi di boicottaggio dei nostalgici del nuovo millennio: ancora una volta, con un incremento di circa 4mila ingressi rispetto all’anno precedente, la cultura ha vinto il fascismo. «Per chi frequenta il Salone la parola chiave è comunità: non si tratta di un semplice pubblico, ma qualcosa di più denso, più vivo e più reale; questa è la speranza del nostro tempo», ha dichiarato il direttore Nicola Lagioia, da giorni vittima di quel bullismo politico che vuole macchiare l’unica manifestazione di cui il Paese non può fare a meno.
Chi ha partecipato, in fondo, lo ha detto chiaramente. Ogni singolo visitatore, infatti, ha scelto da che parte stare: dentro, tra i corridoi del Lingotto, tra i libri, gli scrittori, gli editori, gli addetti ai lavori, tutti intenti a fare e promuovere sapere in un gioco del mondo – tema di quest’anno – che è condivisione, passione, accoglienza, dialogo. L’esatto contrario di chi, invece, è rimasto fuori, per scelta o per Costituzione. Ciascun partecipante ha contribuito all’esito positivo di quella che si stava delineando a tutti gli effetti come una gran brutta storia con una risposta democratica – questa sì – agli attacchi verbali e alle scarse rimostranze degli alfieri della sottocultura, del negazionismo becero e criminale, del terrorismo destrorso. Coloro che hanno attentato alla Resistenza scatenando un dibattito, tra intellettuali e non, che è parso più come l’occasione perfetta di messa in discussione della democrazia e della Carta Costituzionale, sua garante, che seria riflessione sui rigurgiti del passato che tornano insistenti.
In barba a quello tacciato come fascismo degli antifascisti, dunque, la manifestazione ha retto con un bilancio che è già record grazie all’impegno degli organizzatori come dei visitatori, compatti nelle intenzioni e, soprattutto, nelle motivazioni. Certo, le polemiche, gli esposti in ritardo, le prese di posizione a poche ore dall’inizio non sono cosa da niente. Tuttora sanno un po’ di toppa, di palliativo, forse – alla luce di fatti – anche di una comprensibile inadeguatezza nella gestione di un fenomeno che, innegabilmente, è ben più ampio della manifestazione libraria e si estende al territorio nazionale tutto con la complicità di una politica che volontariamente lascia che si propaghi.
La prima possibile e poi scampata presenza di editori fuorilegge, tuttavia, ha offerto una grossa opportunità alla cultura, vale a dire quella di ridefinire il proprio ruolo nella società, un impegno attivo al fine di ristabilire e diffondere i suoi valori e i principi dai quali non può prescindere per definirsi tale. Un’occasione in parte sprecata, stando alle dichiarazioni di chi avrebbe dato spazio a chi spazio gliene toglierebbe, e in parte, invece, ben accolta, soprattutto da coloro che non hanno avuto remore nel negare un diritto alla parola che, secondo Costituzione, non può essere di tutti indistintamente. Una possibilità a cui invece, più di ogni altra parte in causa, la società civile ha risposto senza tentennamenti.
Basti pensare che, soltanto nella giornata di sabato, la più popolata di tutte, in appena un’ora e mezza hanno fatto il loro ingresso circa 15mila persone. Ai 148mila visitatori, inoltre, vanno aggiunti i 27mila che hanno partecipato al Salone Off, la festa dei libri estesa nei vari quartieri della città di Torino, che quest’anno ha offerto più di 530 appuntamenti in 270 luoghi diversi. Numeri che registrano non solo la fedeltà al Salone degli amanti della lettura, ma anche la gioia degli editori che hanno visto incrementare in modo importante le loro percentuali di vendita rispetto all’edizione precedente. +15% Sellerio – quest’anno negli spazi dell’Oval, il nuovo padiglione allestito per una migliore accoglienza e un totale di 63mila metri quadri di spazi espositivi –, +20% minimum fax, +30% Edizioni SUR e Marcos y Marcos: una boccata d’aria per le casse di un settore costantemente in crisi e di un Paese che legge sempre meno.
Lettori da ogni parte di Italia, ospiti dal calibro internazionale come Halina Birenbaum, scrittrice polacca sopravvissuta allo sterminio di Auschwitz, Matt Salinger, figlio del genio autore de Il giovane Holden, Matt Haig, Luis Sepúlveda, Roberto Saviano, Alessandro Baricco e tanti altri, eventi da apertura a chiusura, compleanni importanti – i 90 anni di Bompiani, i 50 di Sellerio, i 25 di minimum fax, i 20 di Fandango – attestano allora la vitale importanza di quella che non è una semplice fiera del libro, ma una vera e propria festa della cultura, della militanza dentro e fuori le pagine della lettura di turno, uno straordinario lavoro di coordinazione e collaborazione tra più enti organizzatori, mai come quest’anno sotto i riflettori per motivi lontani dalla manifestazione in senso stretto.
Non ultimi, a tal proposito, gli attacchi a Lagioia di Fabrizio Ricca, il capogruppo della Lega in Consiglio Comunale, a cui ancora brucia l’esclusione dei fascisti: «Deve dimettersi e deve fare lo stesso il suo direttivo. Non è francamente accettabile che il direttore di un evento importante come il Salone del Libro, in crescita e con una credibilità democratica internazionale da difendere, faccia partire un boicottaggio contro lo stesso evento che organizza». A fargli gravemente eco il candidato alla Regione – ovviamente del centrodestra –, Alberto Cirio: «Certo è che, se saremo noi alla guida della Regione, il Salone dovrà essere un luogo in cui la libertà di espressione viene garantita a tutti. Non accetteremo un’impostazione che miri a piegarlo alle sensibilità politiche di turno. Il Salone merita pluralità e libertà e il clima che si è creato in questi giorni di polemica va esattamente nella direzione opposta a questi principi insindacabili quando si parla di cultura». Dichiarazioni gravi e limitanti – loro per davvero – delle garanzie di cui l’Italia non può privarsi visti i suoi trascorsi tragici, soprattutto se a farle è chi aspira a diventare tutore della legge.
A difendere il direttore, però, prontamente sono intervenuti Chiara Appendino, Sindaco di Torino, e l’attuale Presidente della Regione Sergio Chiamparino, i primi, tra l’altro, a fare esposti contro la casa editrice incostituzionale. «Lagioia non si tocca, ha saputo raccogliere l’eredità del Salone, rilanciarla, rafforzarla. È il direttore ideale in questo momento e per i prossimi anni. Se poi la Lega pensa di usare la rassegna come una delle tante poltrone di cui stanno facendo mercimonio, sarà sconfessata dalla stessa comunità del Salone». Cosa che, in effetti, è già successa lo scorso weekend. «Lagioia, direttore della rinascita del Salone, è patrimonio della città. Se la Lega vuole prendersela con qualcuno se la prenda con chi si è assunto la responsabilità politica della scelta, ovvero la sottoscritta» ha ribadito fermamente la Prima Cittadina torinese.
La fine di questa cinque giorni – le tristi polemiche lo confermano – non può, dunque, non coincidere con l’inizio di un discorso pubblico che escluda la politica, se a farla sono i vari Salvini e Cirio di turno, ma includa la gente comune e l’intero mondo della cultura. Se prima che la manifestazione iniziasse potesse esserne condivisibile la disertazione, oggi, dati alla mano, pretendere di esserci da qui al prossimo anno è, invece, la sola scelta possibile. Esserci noi ed estromettere gli altri, i dittatori del pensiero unico, del dialogo unilaterale fatto di imposizioni e improperi, della violenza con cui hanno fatto la storia. Esserci dentro e fuori dal Salone, nelle piazze, nei luoghi di dibattito, fare rete, come al Lingotto, tutti protagonisti di un gioco del mondo che è bellissimo quando è insieme.
Alla trentatreesima edizione, allora. E che nessuno tocchi Nicola Lagioia.