Siamo il primo caso diagnosticato in Italia e al mondo se ne contano pochi altri, ognuno con le sue specificità. Noi siamo fortunati perché la quasi totalità dei neonati affetti non nasce neppure o non arriva all’anno di vita. A parlare è Fortunato Nicoletti, classe 1974, una laurea in Scienze Motorie e un master in Psicologia Sportiva, vigile del fuoco a Milano, la città dove vive con sua moglie e i suoi tre figli, tra cui Roberta, una splendida bambina dagli occhi grandi e un sorriso dolcissimo, la protagonista del libro nel quale ha voluto raccontarne la storia.
Roberta è una bambina di quattro anni che convive dalla nascita con una patologia genetica rarissima, nata solo con una piccola palatoschisi (fessura nel palato), ma dopo essere entrata in terapia intensiva, ci è rimasta praticamente per sei mesi di fila tra il Niguarda di Milano e il Meyer di Firenze. La prima vera diagnosi è arrivata dopo circa cinque mesi, “displasia campomelica acampomelica”, malattia genetica così rara da essere il primo caso conosciuto e diagnosticato in Italia. Una patologia che interessa tutto l’apparato scheletrico, con malformazioni multiple che compromettono anche altri apparati. Ha subito tre operazioni nei primi quattro mesi di vita, ha affrontato e sconfitto polmoniti, funghi assassini, tremende crisi respiratorie, estubazioni impossibili, ma soprattutto la sfiducia di molte persone. Roby ha una tracheostomia, si nutre con la peg (sonda nello stomaco), ha una instabiltà atlanto-occipitale e una scoliosi degenerativa importante, ma è una bambina incredibile sotto ogni punto di vista. Il suo primo anno e mezzo di vita è stato un calvario, le prime settimane un vero inferno, dal quale nessuno pensava potesse uscirne, ma ha sempre combattuto con una forza spaventosa, tracciando lei la via.
Fortunato, come tutti i genitori che si trovano ad affrontare una vita tra mille problemi e difficoltà, ha aperto prima un blog, Come pensare di essere in paradiso stando all’inferno, poi ha fondato l’associazione Nessuno è escluso, mettendo assieme un centinaio di famiglie con problemi di disabilità da superare quotidianamente, gli scontri con la burocrazia, documenti da produrre per certificare ogni anno le stesse situazioni o, purtroppo, l’aggravamento per non perdere i miseri contributi che rappresentano soltanto una piccolissima parte delle spese rese possibili soltanto dagli stipendi dei genitori e dall’eventuale spontaneo sostegno di parenti e amici.
Abbiamo spesso denunciato la latitanza delle istituzioni sul tema della disabilità che più volte ha costretto le famiglie a scendere in piazza o davanti al Parlamento per sollecitare politiche strutturali e non interventi sporadici che non risolvono i problemi di fondo. Fortunato Nicoletti ha in più occasioni contattato i vertici della Regione Lombardia e scritto al Presidente del Consiglio e al Ministro delle Politiche Sociali, innanzitutto per non dover subire ulteriori tagli e la sospensione dei servizi essenziali, oltre che richiedere rapporti più snelli con le istituzioni preposte evitando lungaggini burocratiche che sottraggono tempo ai genitori già oberati tra lavoro e assistenza continua.
Un libro – Nessuno è escluso, come pensare di essere in paradiso stando all’inferno, con la prefazione di Carlo Verna – per contribuire innanzitutto ad abbattere le barriere culturali. La narrazione di una storia unica, il calvario, un inferno come dice Fortunato, di una famiglia che lotta ogni giorno senza tregua alcuna per assicurare un presente e sperare in un futuro tutto da immaginare per uno scricciolo di bambina sempre sorridente, dotata di una vitalità e di un’espressività che ripagano i genitori delle tante fatiche e dei sacrifici. Una denuncia nei confronti di quelle istituzioni che dovrebbero garantire sostegno, vicinanza e provvedimenti adeguati e che invece costringono le famiglie a doversi difendere dalle stesse per non perdere quei minimi diritti acquisiti nel tempo.
Mi fa piacere chiudere con le parole di papà Fortunato, che meglio esprimono tutto il disagio del mondo della disabilità che, fin quando non costituirà una priorità per il Paese, lo stesso non potrà mai definirsi civile: Raccontare questa storia potrebbe esplicitare ed anche dimostrare un concetto che oggi mi pare fondante: la disabilità non può più essere vista solamente come una sorta di malattia cronica e rara che rende diversi e “scomodi”, ma dovrebbe essere considerata una tra le tante possibili condizioni dell’esistenza umana con la quale fare i conti. Essere disabili non vuol dire né essere speciali, né essere inferiori, ma semplicemente essere diversi, ed è questo il punto: fin dalla notte dei tempi sappiamo che l’unica fonte che genera davvero ricchezza è proprio quella diversità che, al netto delle barriere “architettoniche” culturali che continuiamo a costruirci, è la più grande e pura risorsa che possediamo.
Grazie, Fortunato, per l’esempio, la forza e la testimonianza che ancora fanno sperare in una società più equa, giusta e solidale.
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