Troppo giovane per aver respirato l’aria che tirava negli anni Settanta – e sarà per questo che per quel periodo provo la nostalgia più feroce, quella di chi non c’era – ne ho forse ascoltato l’eco grazie alla musica, ai dischi che prima mio padre, poi e soprattutto mio fratello maggiore, classe Sessantanove, piazzavano sul piatto dello stereo Hi-Fi costruito da quel geniaccio del mio babbo. E non solo: la cantina di casa nostra in Piazza Ferrucci era stata ripulita e insonorizzata con i cartoni delle uova, proprio come quella in cui si svolgono i primi esperimenti di Radio Magia, probabilmente non lontano. E non per trasmettere, ma per suonare.
È successo forse in quei momenti, seduta con amiche e amici sui gradini davanti alla porta metallica della cantina ad ascoltare le infinite sessioni di prove, che mi sono innamorata del mondo della musica, una passione tenace, che non ho mai smesso di coltivare. E in quel mondo quasi ogni cosa – dai vestiti allo stile agli ascolti al genere musicale alla politica ai capelli al modo di parlare a un’idea sempre più vaga di ribellione – riportava o attingeva a quegli anni, il magico (appunto) decennio dei Settanta, anche se ormai era finito da un pezzo. Vent’anni, più o meno. Ma quei colori – il rosso e il nero – erano tanto forti che non sbiadivano del tutto. E anche noi, come gli antieroi del libro dello scrittore fiorentino Valerio Aiolli, abbiamo sempre saputo da che parte stare, su quello non vi sono mai stati dubbi di sorta.
Nel mio libro Firenze Suona, da cui è nato tutto un circuito che continua a guardare alla musica, viene raccontata (da Marco Imponente, che tuttora la dirige) l’esperienza reale di una radio indipendente, nata nello stesso tempo, probabilmente simile per molti aspetti a quella di Radio Magia: la sorella che ce l’ha fatta. Ma con molte differenze, oltre a quella appena detta, ossia la principale. Controradio, che gode tuttora di buona salute e resta un punto di riferimento per la (contro)cultura toscana, partecipò attivamente al Movimento di protesta del Settantasette e per questo motivo è stata la seconda radio libera in Italia, dopo Radio Alice di Bologna, a essere chiusa dalla polizia su ordine della Questura di Firenze.
Controradio nacque nel periodo della “creatività al potere”, da gruppi di giovani – forse coetanei, forse un po’ più grandi, di certo più determinati e “collocati” dei personaggi di Radio Magia, più “strutturati” – legati a Lotta Continua e al Movimento del Settantasette. La prima sede era in via dell’Orto, nel quartiere popolare di San Frediano: un locale minuscolo, la sedia davanti al mixer rubata a un barbiere. Ma in quegli anni c’era un’altra sorella ancora, più istituzionale: Centofiori, la concorrente storica di Controradio. Entrambe le emittenti, seppure con le dovute e immancabili divergenze, appartenevano all’area della sinistra radicale e non erano commerciali, ma Centofiori proponeva un approccio più istituzionalmente comunista.
Il punto di rottura arrivò nel 1982, con la diatriba sul concerto dei Rolling Stones a Firenze: Centofiori avrebbe dovuto organizzarlo, ma Controradio voleva dire la sua ed essere della partita, minacciando di rovesciare il tavolo e far saltare tutto. Per Centofiori, Controradio era una struttura troppo vicina al partito di Craxi. Ci provarono in tanti a intercedere, a mediare, ci provò pure Veltroni, ma l’operazione fallì e il concerto non si tenne. Occasione persa e rimpianta.
Toppa, Caio, il Gipo e Caputo (il leader poliedrico, magnetico, misterioso), protagonisti del romanzo di Aiolli da poco uscito per minimum fax, non arrivano a tanto. Però sono – come i ragazzi che fondarono le “vere” radio libere fiorentine – alla ricerca di libertà espressiva. Sono spinti a quell’avventura dalla necessità, forse non ancora fatta urgenza, di diffondere la propria voce, anche attraverso la musica, ma non confluiscono nel Movimento del Settantasette, forse neppure nella militanza politica. Fanno gruppo a sé, rappresentano l’altra faccia della protesta.
Eugenio Finardi, che cantava la musica ribelle, diceva in un suo celebre pezzo:
Amo la radio perché arriva dalla gente
Entra nelle case
E ci parla direttamente
E se una radio è libera
Ma libera veramente
Mi piace ancor di più
Perché libera la mente.
E così Valerio Aiolli, prendendo spunto da esperienze autobiografiche, racconta a modo suo la nascita di questo fenomeno abbastanza incredibile, che ormai diamo per scontato, che sono state le radio private, all’epoca libere, che permisero un’apertura di visione e di ascolto della realtà. Questi ragazzi attraverso la loro radio si affacciano al mondo in un momento di forte polarizzazione e affrontano il passaggio all’età adulta, in cui si perde l’ultima innocenza, l’ultima possibilità di pensare che tutto sia possibile e ci si scontra un po’ con la vita.
Come in Nero ananas (Voland), candidato nel 2019 al Premio Strega, anche Radio Magia è ambientato negli anni più bui del terrorismo di estrema destra a partire dalla strage di Piazza Fontana, in quel lungo Sessantotto, ma le differenze sono evidenti a partire dallo sguardo dell’autore, più leggero, più ironico. E poi il tema, in qualche modo collaterale: Radio Magia racconta le peripezie di un gruppo di ragazzi appartenenti alla maggioranza meno chiassosa, più defilata, ma su cui gli eventi non incidono con minore intensità, su cui fatti come il rapimento di Aldo Moro hanno ricadute potenti, seppur meno esibite e clamorose.
Toppa, Caio, il Gipo e Caputo reagiscono a modo loro: forse non scendono in piazza per gridare slogan altisonanti, non seguono né affiancano chi rapisce, chi spara, chi pianifica rivoluzioni, chi finisce in galera. Loro sono meno assertivi, più confusi, più che dare risposte si fanno domande. Insomma appartengono all’immarcescibile schiera degli scazzati, per dirla con parole loro. Forse sono proprio giovani di questo tipo – intrappolati tra la crudità degli eventi che segnano il mondo e le vicende amorose e amicali della sfera personale che incidono l’anima – sono ragazzi così, dicevo, che preparano il terreno all’arrivo degli anni Ottanta, alla fuga nel privato prima che nel disimpegno.
Contributo a cura di Elisa Giobbi