A.K.: Quale domani per l’Italia, secondo Lei?
I.M.: Debbo proprio dirglielo?
A.K.: Provi a dirmelo.
I.M.: Per l’Italia nessuno. Perché è un Paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e chi non si cura di sapere nulla non può avere un domani. […] (L’Italia) Ha una storia straordinaria, ma non la studia, non la sa, è un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà il domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo – per gli italiani, non per l’Italia – perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale, perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. Noi in Europa saremo senza dubbio i migliori sarti, i migliori calzolai, i migliori direttori d’albergo, i migliori cuochi. […] Nei mestieri servili noi siamo imbattibili, ma non lo siamo solo in quelli, l’individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l’Italia no, non ci sarà, non c’è. Perché gli italiani che andranno in Germania diventeranno tedeschi.
A.K.: Perché gli italiani sono molto elastici? Sono camaleonti?
I.M.: Molto elastici […], alla seconda generazione sono già assimilati.
A.K.: Ma questo è un difetto?
I.M.: È un difetto ed è anche una virtù, una qualità. Voglio dire: per l’Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante!
Così rispondeva Indro Montanelli ad Alain Elkann, mostrando chiare doti di preveggenza, in un’intervista di qualche tempo fa su quale idea avesse, condivisibile o meno, rispetto al futuro degli italiani in Europa e nel mondo. Aveva ragione?
La risposta possiamo cercarla e, probabilmente, persino trovarla anche solo osservando quello che sta accadendo nelle vetrine dei negozi e delle cartolerie lungo le strade delle nostre città, le quali già ce lo dicono: sta arrivando Halloween, e le zucche, come ormai accade da un bel po’ di tempo, stanno puntualmente cominciando a svuotarsi, per riempirsi di un immaginario perfettamente intriso di assuefazione a modelli comportamentali e stili di vita appiccicati così in fondo all’anima da non saperne fare più a meno, come capita con le endorfine che ci rendono dipendenti dalla cioccolata.
Forse, solo su un punto potremmo provare a essere più precisi di quanto già non lo sia stato, ahinoi, Indro Montanelli, e cioè che per essere assimilati gli italiani oggi non hanno nemmeno bisogno di uscire dall’Italia, andando per esempio in Germania, in Inghilterra o altrove. Forse non hanno bisogno nemmeno di uscire di casa.
Per essere assimilati, infatti, oggi ai nativi del Bel Paese – e, per la verità, non solo a loro – è sufficiente qualche ora trascorsa davanti alla TV o passata a navigare su Internet, di cui è per altro possibile usufruire anche attraverso il proprio smartphone.
Per chi ha anni sulle spalle a sufficienza da ricordare gli album di raccolta delle figurine dei calciatori, ma non solo, ricorderà quanto potessero essere irrimediabilmente fastidiose quelle immagini che, una volta appiccicate male, magari un po’ storte o parzialmente ripiegate, non potevano più essere staccate se non strappando via anche parte della pagina stessa del raccoglitore su cui erano state attaccate. Ecco, Halloween è questo, una figurina appiccicata male sopra i nostri occhi aperti al buio di una caverna dove un Leviatano, dietro di noi, ci obbliga a godere della proiezione di una realtà che si svolge al di fuori della nostra portata a vantaggio di un’altra di cui abbiamo la sola percezione mediaticamente indotta.
Renzo Piano, in occasione di un’intervista rilasciata a Fabio Fazio durante il programma Vieni via con me, fu persino più acuto di Montanelli, quando affermò: […] Noi italiani siamo come nani sulle spalle di un gigante, tutti, e il gigante è la cultura, una cultura antica che ci ha regalato una straordinaria, invisibile capacità di cogliere la complessità delle cose, articolare i ragionamenti, tessere arte e scienza assieme. E questo è un capitale enorme, per questa italianità ci sarà sempre posto a tavola in tutto il resto del mondo. Tranne che in Italia è il sottinteso che parrebbe emergere da tale considerazione.
Troppo superficialmente dimentichiamo, infatti, che anche noi siamo parte integrante del resto di quel mondo su cui molto spesso vediamo proiettate solo le nostre ombre. Quello di cui avremmo bisogno sono invece degli specchi, per guardarci negli occhi e comprendere che alle nostre spalle la vita scorre. Dobbiamo solo trovare il coraggio di voltarci e sfidare il Leviatano, poiché le zucche che possediamo sono piene abbastanza di lingue scritte o anche solo parlate, buone per tramandare una storia e tante altre storie che dobbiamo tornare a raccontare innanzitutto a noi stessi.