Non si ferma l’escalation della guerra che si combatte da ormai quasi un anno sul suolo dell’Ucraina, nel cuore dell’Europa. Non si ferma non solo perché sul fronte orientale vi è saldamente al comando Vladimir Putin con le proprie mire imperialiste e la sfida lanciata all’espansione della NATO, ma anche a causa della totale mancanza d’iniziativa da parte del mondo occidentale nei riguardi di un’azione diplomatica decisa e coesa.
Mai, dal febbraio del 2022, l’Europa e gli Stati Uniti hanno davvero tentato di proporre un tavolo delle trattative che mettesse al centro gli interessi di entrambe le parti in causa, decisi a sposare la causa di Kyiv senza battere ciglio. I vani – e perlopiù di facciata – tentativi avanzati da Macron durante la scorsa primavera altro non sono sembrati che una mossa atta a legittimare quanto, poi, accaduto nei mesi a venire, ossia il supporto militare incondizionato degli Alleati nei riguardi dello Stato di Volodymyr Zelensky.
Così, dopo quasi 365 giorni di guerra, e il costante invio di armi a vantaggio dell’esercito ucraino, cade un altro argomento che sembrava intoccabile: la consegna di carri armati. A oggi, infatti, i Paesi dell’Occidente si erano ben guardati dal rifornire Kyiv di materiale bellico d’assalto, al fine di evitare – per quanto possibile – di essere considerati dalla compagine di Mosca cobelligeranti e, dunque, a loro volta coinvolti in prima linea nel conflitto. In una sola parola: attaccabili.
Mercoledì, però, la Germania e gli Stati Uniti hanno fatto sapere che circa settanta tank verranno consegnati dal fronte occidentale e trentuno da Washington. «Dobbiamo mostrarci uniti di fronte a una situazione che sul campo si stava facendo critica. […] Da parte della Germania è stata una vera accelerazione» ha dichiarato Joe Biden, che ha poi aggiunto: «L’Italia sta inviando artiglieria in Ucraina».
Nulla di nuovo, nulla che non fosse già chiaro a tutti. Dunque, in che maniera sono da leggere le frasi del Presidente, in particolar modo quelle riferite al supporto offerto dal nostro Paese? Come detto, i mesi precedenti a questa svolta pericolosa – che rischia di non riuscire nell’intento di frenare il conflitto, semmai di allargarlo e renderlo ancora più cruento – danno a pensare che quella della Casa Bianca altro non sia che una reiterata e fastidiosa propaganda bellica. Da più parti, il fronte comune dell’informazione e dell’opinione pubblica mainstream (televisioni e principali giornali) propone esclusivamente quest’unica narrazione dei fatti, quest’unica via come percorribile.
Il 24 gennaio, i curatori del Bollettino degli Scienziati Atomici, che ogni anno misurano simbolicamente quanto sia vicina la Terra a un disastro nucleare, e dunque a una situazione irreversibile, hanno stimato, per il 2023, soli novanta secondi dall’Apocalisse, attraverso un altrettanto simbolico orologio che scandisce il tempo che manca alla fine del mondo. Gli accadimenti di queste ultime ore, se non produrranno l’effetto di dare credito a questa previsione catastrofista, di certo non allontaneranno lo spettro di una guerra globale che sembra sempre più concreta e reale, una guerra a cui sembra ci vogliano – e ci stiano – lentamente abituando a suon di effetti propagandistici come quello messo in campo da Biden.
Come se non bastasse, e perfettamente in linea con quanto descritto, è di queste ore anche la notizia che il Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, comparirà in differita, attraverso un’intervista registrata per l’occasione, durante la serata finale del Festival di Sanremo, ossia quando gli ascolti della trasmissione più seguita della televisione di casa nostra saranno alle stelle, con tutto il pubblico generalista davanti alla tv convinto di scoprire la nuova canzone italiana dell’anno e invece coinvolto in una chiamata alle armi che tanto ricorda il celebre manifesto I want you dello Zio Sam del 1914, in piena Prima guerra mondiale. Una propaganda senza precedenti, con l’aggravante del finanziamento dei fondi pubblici che di solito offrono inchiostro per i rotocalchi pronti a polemizzare sui compensi di presentatore e ospiti internazionali.
Che il Festival sia fonte di diatribe è risaputo, ma quanto accadrà durante la serata di sabato ha dell’incredibile e non va assolutamente minimizzato. Alla soddisfazione di Amadeus va contrapposta, con forza, un’iniziativa popolare pacifica come quella che alcuni esponenti dello spettacolo hanno promesso di organizzare per la stessa notte della finale. È incredibile che il palco che ospiterà alcuni dei profili più seguiti del mondo della tv e dei social, a partire da Gianni Morandi fino all’oceano di follower di Chiara Ferragni, presterà la propria audience alla t-shirt militare del leader ucraino e del conflitto che l’Occidente infiamma ai confini della Russia, anziché – come scritto in apertura – tentare di sedarlo con una seria e congiunta iniziativa di diplomazia.
Assurdo che pubblico, cantanti in gara, ospiti e presentatori saranno coinvolti, alcuni loro malgrado, in questa vigliaccata. Così, le voci libere hanno il dovere di unirsi, di fare squadra e dimostrare che le opinioni e le azioni dei governi non sono le opinioni e le azioni dei popoli. Popoli che vogliono la pace, vivere senza l’incubo di sparire tra novanta secondi e, perché no, cantare con i propri beniamini davanti alla tv, senza il fastidioso pensiero di essere pedine di una guerra che li coinvolgerà senza volerlo, di una guerra che sembra già cominciata.