La Whirlpool di Napoli chiude i battenti, lo stabilimento di via Argine, nel quartiere Gianturco, sospende la produzione e lascia la città del Vesuvio. Sono passati diciotto mesi dall’ultima minaccia – da parte dell’azienda – di cessare ogni attività presso la filiale campana, diciotto mesi di trattative, proteste, tensioni, diciotto mesi che non hanno scongiurato, però, il drammatico epilogo.
Quello tra la multinazionale produttrice di elettrodomestici, i lavoratori, Napoli e il governo italiano è un contenzioso che si trascinava da tempo, una storia fatta di annunci, scioperi, esuberi e resistenza che ha ultimato il suo giro così com’era purtroppo previsto e prevedibile, un esito a cui nessun esecutivo – passato e presente – è mai riuscito a porre rimedio, tantomeno a presentare una soluzione.
Ciò che ne deriva è il licenziamento di circa quattrocento operai, quattrocento famiglie (mille se si considera l’indotto) abbandonate al proprio destino e alla crisi sociale che l’emergenza coronavirus sta evidenziando in tutte le aree del Paese e che, in quartieri e realtà come Gianturco, assume le dimensioni della tragedia. Le loro richieste d’attenzione, gli appelli dei lavoratori a denuncia delle intenzioni della società, tuttavia, sono rimasti voci isolate, ignorate da ogni parte politica e sottovalutate dai sindacati.
Regione e governo dimostrano, così, di essersi spesi – nel corso degli ultimi anni –esclusivamente in proclami e vuote promesse, azioni dimostratesi volte soltanto a sedare la rabbia dei dipendenti che, in più occasioni, hanno manifestato di fronte ai cancelli dello stabilimento o, addirittura, bloccato la vicina arteria dell’autostrada. Chiacchiere, slogan, annunci buoni soltanto a rimpinzare i consensi nel momento del bisogno poi, ancora una volta, il nulla assoluto.
Come nel caso più rumoroso e recente, con il MoVimento 5 Stelle e, in particolar modo, la figura di Luigi Di Maio protagonisti dell’ennesima farsa. L’allora Ministro del Lavoro dichiarava che in cinque minuti era riuscito dove nessuno, negli anni precedenti, era intervenuto in maniera concreta. Il tweet roboante – che, a posteriori, sembra fare il pari con l’annuncio storico al balcone di Palazzo Chigi «Abbiamo abolito la povertà» – annunciava: Whirlpool non licenzierà nessuno e, anzi, riporterà in Italia parte della sua produzione che aveva spostato in Polonia. Questo è il frutto di una lunga contrattazione che siamo riusciti a chiudere al Ministero dello Sviluppo Economico. Sono quindi orgoglioso di dire che ce l’abbiamo fatta: stiamo riportando lavoro in Italia!.
Così, mentre il padrone serra le porte, il governo si dimostra debole, incapace persino di far rispettare gli accordi presi tra le parti. «Era previsto un pacchetto da oltre 100 milioni in favore della multinazionale tra taglio del costo del lavoro, fondo perduto, fondo per le crisi d’impresa, fiscalità di vantaggio e prestiti garantiti», ha ricordato il Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, evidenziando – semmai ce ne fosse bisogno – quanto il suo ruolo sia utile esclusivamente nell’ottica di un altro specchietto per le allodole da offrire a un territorio che soffre l’assenza dello Stato in queste battaglie e non solo.
A rendere ancor più sofferta la questione Whirlpool è, poi, il silenzio della Regione Campania e del suo Presidente Vincenzo De Luca, il cui violento disprezzo di feste pagane di fine ottobre e bambini desiderosi di tornare tra i banchi (definiti OGM) potrebbe – chissà – fare al caso dei tanti che invocano il pugno duro delle istituzioni. Solo un anno fa, il Governatore approvava un programma da 20 milioni di euro per trattenere la produzione industriale a Napoli. Cosa ne è stato?
Come per l’ILVA di Taranto e il suo indotto di circa 10mila operai tenuti in scacco dalla proprietà di Arcelor Mittal, il governo non può far altro che prendere atto del proprio fallimento, della sua incapacità a far rispettare norme e offrire alternative concrete alle centinaia di famiglie messe in ginocchio dall’arroganza del potere, del mercato come unica ragione. Lo Stato servo dello stesso sistema economico che incoraggia.
«Disattendere gli accordi è un brutto segnale per l’azienda, per gli altri stabilimenti, per il Paese, e il governo non può rimanere indifferente rispetto a questo disimpegno» ha riconosciuto il Premier Giuseppe Conte in un raro momento di distrazione dalle misure da mettere in campo in contrasto all’epidemia da COVID-19. «Siamo disponibili a qualsiasi cosa», ha aggiunto.
Deve, allora, dimostrare di saper reagire, di saper rimediare agli errori – anzitutto – della sua squadra, del suo Ministro ora promosso agli Esteri, cominciando (magari!) dall’insegnargli il rispetto delle persone a cui propina proclami. Deve imporre a Whirlpool il rispetto dell’accordo firmato nel 2018, farsi garante di ogni singolo membro dell’azienda. Deve andare oltre le ipotesi impraticabili di reindustrializzazione, dimostratesi fallimentari per qualunque altra impresa, in Campania, al Sud, come altrove, e procedere alla nazionalizzazione della fabbrica, salvando i posti di lavoro e garantendo – affare non scontato – il salario minimo a tutti gli impiegati.
Il futuro della Whirlpool non può che passare da un nuovo piano industriale da verificare e mettere in campo con un’azione condivisa tra Stato e lavoratori. Il sostegno morale non basta, la solidarietà espressa in favore di telecamera non può – e non deve – essere la solita risposta che l’Italia sa offrire ai propri figli esaltati nelle campagne elettorali e scordati alla prima occasione di dimostrare la solidità delle istituzioni.
Con l’esplodere dei contagi a mettere in ginocchio l’economia dell’intero Paese, una malattia pericolosa e aggressiva almeno quanto il virus sta sfibrando il tessuto sociale delle aree storicamente più in crisi. Il Sud Italia, Napoli, Gianturco e la Whirlpool sono parte di quel tessuto, sono storie che non trovano spazio nelle agende di governo, tantomeno tra l’opinione pubblica. Il silenzio delle macchine che si spengono non soffoca la voce di chi pretende risposte.