Vorrh di Brian Catling (Safarà) non è un romanzo o, meglio, non è un romanzo per come siamo abituati a pensare ai romanzi. Come un piccolo moto ondoso generato dal lancio di un sasso in acqua, la narrazione procede per cerchi concentrici: ciascuno scorre separato e parallelo a tutti gli altri, pur scaturendo da un’origine comune, il Vorrh.
È questo il nome dell’antica foresta pluviale intorno alla quale si accalcano miti – si dice che al suo centro si trovi il Giardino dell’Eden, a cui un ingrigito Adamo avrebbe fatto ritorno –, lotte per il predominio coloniale e personaggi a metà tra la storia e la fiaba – come il ciclope adolescente allevato da cyborg di bachelite, il fotografo avanguardista Eadweard Muygridge e Sir William Gull, il chirurgo della Regina Vittoria.
Primo volume di un’ideale trilogia, la creatura di Brian Catling si inserisce alla perfezione nel catalogo della giovane casa editrice, dimora di opere letterarie oblique, così trasversali da rendere impossibile e perfino inutile ogni tentativo di classificazione. Catling è, in effetti, un talento obliquo: poeta, scultore, pittore e poi scrittore. Nel romanzo tutte le nature dell’autore si amalgamano, avviluppando il lettore in un fitto groviglio di rovi e fogliame, di magia e suggestioni poetiche che se da un lato valgono all’opera il titolo di romanzo surrealista, dall’altro tendono a generare una prosa spesso criptica e soffocante.
Non è la trama a trainare il romanzo. Si potrebbe, anzi, addirittura affermare che nelle oltre 400 pagine del primo volume la trama sia pressoché assente, un’impalcatura fragile che si piega con facilità alle volontà espressive del suo creatore. Il susseguirsi degli eventi, che pure fa da motore alle vicende delle decine di personaggi coinvolti da Catling, è sempre accompagnato da una patina di ineluttabilità e dalla sensazione che, nell’eterno fluire del tempo, ogni destino, seppur spinto dall’istinto di natura a muoversi in avanti con l’azione, sia condannato a rimanere immobile, vano, incompleto.
Una delle molteplici interpretazioni dell’opera surrealista in prosa è la ricerca di questa completezza, lo spasmo che caratterizza la condizione umana di cercare, inventarsi, trovare un senso alla propria esistenza. Lo scarto tra mondo fisico e immaginifico, tra realtà e Gestalt, è tutto nell’attenzione che l’autore/artista presta alle illusioni ottiche, ai disturbi della vista e a quelli della percezione, al dismorfismo, allo studio delle riproduzioni fotografiche.
Tra i personaggi in scena ci sono un ciclope e un fotografo. Come testimoniano le innumerevoli opere d’arte che ha dedicato al soggetto, Catling nutre un interesse vivissimo per i ciclopi. Le creature con un occhio solo, dice, sono considerate da noialtri dei mostri per il solo dettaglio della mancanza di un occhio. Eppure questa mancanza interrompe il dualismo della natura umana e restituisce un essere perfettamente integro, poiché può guardare alla realtà da un’angolazione sola. Se ciò lo renda migliore o peggiore è materia da interpretare. Tuttavia, la distorsione del senso della vista resta uno dei temi centrali del libro. Per questo, Catling fa del fotografo Muygridge, la cui esistenza in vita fu così surreale da dubitare della sua veridicità, uno dei personaggi principali del romanzo.
Il Muygridge di Vorrh vuol catturare sulla pellicola la scintilla, il segreto custodito fra le pieghe del tempo, l’attimo che separa l’imperfezione umana dall’eterno. Lo fa dapprima fotografando la natura sterminata dell’America del ventesimo secolo, poi coltivando un interesse morboso per i pazienti affetti da disturbi psichiatrici del dottor Gull. Anche Gull è realmente esistito e vi sono testimonianze di un suo incontro con il celebre fotografo: da qui, però, eventi reali e immaginati si confondono. La figura del chirurgo della Regina Vittoria è ugualmente avvolta nel mistero, al punto da ipotizzare che fosse proprio il medico l’identità celata del sanguinario Jack lo Squartatore.
Laddove Muygridge mette alla prova i confini di tempo e percezione con la sua macchina fotografica, Gull disseziona i corpi e le menti dei suoi pazienti. In linea con la tradizione che lo vorrebbe dietro la maschera del noto serial killer, il chirurgo conduce i propri esperimenti sulle prostitute per poi applicare i risultati dei suoi studi nel trattamento e nella cura di donne benestanti. In più di un’occasione si è tentati di leggere, nel romanzo, una critica allo sprezzo borghese e neocapitalista dello spirito coloniale.
La fotografia è anzitutto un mezzo per imbrigliare l’altro, per riprodurlo e spogliarlo della sua originalità e della sua origine, per impadronirsi della sua immagine e, così facendo, riscrivere la sua identità. Le istantanee degli indigeni del Vorrh si trovano all’interno di un museo che ricorda molto il Pitt Rivers di Oxford: sua caratteristica unica è quella di esporre reperti e oggetti provenienti da civiltà indigene per area tematica e non per luogo, tribù o cultura.
Quando Tsungali, altro protagonista del romanzo appartenente al Primo Popolo, viene portato in trionfo dagli inglesi imperialisti in patria, lungo un tour europeo col doppio intento di mostrare muscoli e superiorità al rappresentante del popolo conquistato e di reclamarlo come proprio esotico trofeo, la visita in un museo riempie gli occhi e il cuore dell’uomo di odio e fantasmi. Ai suoi occhi, la funzione assolta dalla galleria è quella di ingannare la linea temporale, ricacciando tutto ciò che è diverso dall’osannato progresso tecnologico in un primitivo passato indistinto, sbiadito: un luogo di culto dove vengono offerte in sacrificio le diversità nel nome della loro legittima conquista e sfruttamento.
Sentimento coloniale e anticoloniale si alternano tra le pagine, con un lieve sbilanciamento del primo nei confronti del secondo. L’impenetrabilità del Vorrh, il suo mistero e anche le tribù che vi ruotano intorno danno in qualche caso l’impressione di essere lì per farsi sfidare dall’uomo bianco, che penetrato nella foresta insegue il suo destino da eroe alla ricerca di sé. Così come gli alberi della foresta vengono divelti per il commercio della legna, e questa legna lavorata dai Limboia – uomini indigeni privi di volontà perché rimasti per troppo tempo nel Vorrh – ridotti in schiavitù, così lo spirito della foresta attrae dentro di sé il Francese (figura emblematica tratteggiata sul personaggio storico di Raymond Roussel), il Ciclope e l’Arciere.
Nel fascino che il Vorrh esercita sui bianchi europei si hanno reminiscenze di Cuore di Tenebra e del suo Kurtz, corrotto dalla brama di potere e dal delirio di onnipotenza al centro della giungla congolese. Proprio come con l’opera più celebre di Conrad, è difficile individuare una netta condanna dell’impero coloniale. Un netto esempio di come la foresta serva in qualche modo da espediente trasformativo dell’uomo bianco è nel personaggio dell’Arciere: soldato inglese il quale, innamoratosi della sciamana Irinnipeste, la segue nel folto del Vorrh e vive con lei una vita a metà fra la veglia e il sortilegio. Alla sua morte, seguirà alla lettera le istruzioni lasciategli di fabbricare con le ossa e i tessuti dell’amata un arco lungo e delle frecce: l’arco dovrà guidarlo in una missione ignota sempre più addentro l’ostile forza della natura.
Laddove nel romanzo di Conrad il racconto assume quasi la foggia di un monito per bocca del narratore, Marlow, in un esperimento surrealista come quello di Catling viene da chiedersi se abbia veramente senso, dopotutto, cercare di darne una lettura univoca. Il Vorrh è una macchia scura al centro di un dipinto: dentro il nero abisso, ciascuno sente, legge suggestioni diverse e a queste fornisce diverse spiegazioni, a seconda della propria sensibilità. In questo, Vorrh si allinea perfettamente con la produzione artistica del suo autore e con il suo intento di farne un romanzo surrealista e performativo.