Vivian Maier era una bambinaia con la grande passione della fotografia, una donna incredibilmente eccentrica, forte, intellettuale e molto riservata. Indossava sempre un cappello floscio, un vestito lungo, un cappotto di lana, scarpe da uomo e camminava con passo deciso. Ogni volta che usciva di casa portava con sé la sua macchina fotografica con la quale scattava, in modo ossessivo, fotografie che però non mostrava mai a nessuno.
Era nata il 1° febbraio 1926 da madre francese e padre austriaco nel quartiere Bronx di New York. I dati del censimento riportano informazioni incomplete: all’età di quattro anni viveva a New York con la madre, Marie Maier, e Jeanne Bertrand, fotografa ritrattista e amica di famiglia, ma del padre nessuna notizia; altri documenti, invece, dimostrano che nel 1939 non era più in Francia, bensì negli Stati Uniti, e ancora nel 1951, nuovamente in America dopo un periodo trascorso nel Paese europeo, ma questa volta senza la mamma.
La Maier iniziò a scattare le sue prime foto nel 1949 con una modesta Kodak Brownie, una macchina fotografica amatoriale con un solo tempo di posa, nessun controllo della messa a fuoco e nessun diaframma di apertura, insomma uno strumento difficile da usare per chi ha la necessità di scattare paesaggi o ritratti “controllati”. Dal 1951 cominciò a lavorare come baby sitter e badante, lavoro che svolse per tutta la vita, dedicandosi, nel tempo libero, sempre alla sua grande passione: la fotografia. I suoi scatti di strada mostrano una donna dallo spirito libero, orgogliosa, con grande curiosità e un forte desiderio di documentare il mondo anche attraverso realizzazioni di piccoli film. Le sue immagini mostrano un’America fatta di cambiamenti, monumenti storici abbattuti, le vite “invisibili” di persone meno fortunate, ma anche i luoghi più affascinanti di Chicago.
Ed è proprio a Chicago che Vivian si trasferì nel 1956, lavorando per una famiglia come tata, e assaporando per la prima e unica volta un po’ di “maternità”, riacquistando un senso di appartenenza verso la famiglia, anche se non era la propria. La sua fu una vita vissuta attraverso la macchina fotografica con la quale catturava i momenti, per lei, considerati più importanti.
Sono oltre centomila i negativi che raccolse negli anni e durante il periodo trascorso a Chicago poté godere di un piccolo lusso: una camera oscura e un bagno privato dove sviluppare da sé le immagini. Tuttavia, quando i bambini diventarono adulti nei primi anni Settanta, Vivian perse il lavoro e fu costretta ad abbandonare lo sviluppo delle immagini, lasciandosi alle spalle tantissimo materiale non terminato. Fu così che iniziò la sua vita da senzatetto, fino a quando, nella prima metà degli anni Novanta, fu aiutata proprio da quei tre non più ragazzini di Chicago a cui aveva fatto da “mamma” per molti anni.
Nel 2008, per colpa di una caduta sul ghiaccio, la sua salute fu compromessa, costringendo la donna in una casa di cura nella quale si spense nell’aprile del 2009, lasciandosi alle spalle un immenso archivio fotografico.
I suoi scatti sono venuti alla luce quando, nel 2007, le sue fotografie furono vendute all’asta – a causa di un pagamento mancato dell’affitto – dalla società di stoccaggio a RPN Sales che a sua volta separò le scatole in un’asta più vasta. Tra i vari acquirenti risalta il nome di John Maloof che ha permesso al mondo di conoscere l’incredibile talento di questa fotografa. Un occhio particolare e preciso che ritrae scene di strada che ricordano Henri Cartier-Bresson, ritratti evocativi che richiamano a Lisette Model e composizioni fantastiche simili a quelle di André Kertész.