Vincent Van Gogh: basta pronunciarne il nome per veder apparire immediatamente nella propria mente i suoi dipinti, il suo stile, la sua visione dell’arte. Un pittore dalla vita infelice e travagliata, nato a Groot-Zundert il 30 marzo del 1853. Le sue opere originarie raccontano un’Olanda triste e avvolta dalla povertà, così del suo primo grande quadro, I mangiatori di patate, colpiscono subito i colori scuri e l’aria incredibilmente cupa, che rende veritiera la realtà degli indigenti del Paese escludendo qualsiasi forma di romanticismo o compassione.
Dipingere fu per lui come una missione e lasciare l’Olanda per trasferirsi a Parigi fu un momento importante e soprattutto di crescita. Grazie all’aiuto del fratello Theo, mercante d’arte nella capitale francese, Van Gogh riuscì ad avere una minima libertà economica e a non far più ritorno in patria. Il suo soggiorno parigino gli mostrò la pittura impressionista e gli permise di conoscere molti artisti tra cui Paul Gauguin e Toulouse Lautrec che apprezzò molto. L’impressionismo gli donò tonalità chiare e luminose, rendendo il colore sempre più un mezzo per esprimere la propria inquietudine. Nella Ville Lumière, Vincent scoprì anche le stampe giapponesi, raffinate incisioni di soggetti quotidiani che erano molto in voga nell’Europa dell’epoca e con le quali si misurò provando nuovi modi di disegnare.
Nel 1888 si trasferì ad Arles, dove diede vita ai Girasoli che, come amava fare lui, rincorrono il sole, sempre alla ricerca del calore emanato per poter vivere. Il suo sogno era quello di fondare, proprio in questa città, una comunità di pittori che condividesse i suoi stessi ideali di pittura, ma anche uno stile di vita semplice che permettesse di guardare con occhi sinceri e puliti la natura. Il desiderio di condividere il suo inno al sole e al mondo con altri artisti lo spinse a invitare Gauguin nella cosiddetta “casa gialla”. I luoghi della città francese furono spesso ritratti da Van Gogh: Il caffè di notte, La camera da letto e l’Autoritratto con l’orecchio bendato. Quest’ultima opera, in particolare, è legata a un episodio drammatico, una discussione tra lui e Gauguin che terminò, in un momento di follia, con lo stesso Vincent che si tagliò un pezzo di orecchio. Un episodio che spinse l’artista a ricoverarsi in una casa di cura per ritrovare un po’ di pace e ritrarre uno dei quadri più amati e conosciuti, la Notte stellata. Si tratta di un dipinto che riesce a cogliere la luce delle stelle e quella della luna in una notte d’estate.
Furono tre i poli principali tra i quali oscillò, in una sorta di ansioso sincretismo, la sua arte: la vocazione verso una pittura per “l’umanità” e di conseguenza verso una resa espressiva e drammatica del reale; l’appello impressionista e neoimpressionista, che raccolse tardivamente, a un colorismo libero basato sull’uso di colori puri; infine il sintetismo gauguiniano a fondo intellettualistico-simbolista. Tutto ciò era ancora molto contenuto quando l’artista, nella sua fase di crescita, ammirava sia Millet che Mauve dipingendo con una semplicità davvero toccante contadini e minatori del Borinage. Il contrasto tra aspirazioni così divergenti si accese quando arrivò a Parigi, nel 1886, per continuare anche durante il soggiorno ad Arles, dal 1888 al 1889, che comprese i due mesi dell’impossibile sodalizio con Gauguin, l’anno trascorso nel manicomio di Saint-Rémy e la brevissima fase, ad Auvers, troncata dal suicidio.
Il suo fu un conflitto davvero dilaniante che, però, lo condusse, nei momenti migliori, a quell’inconfondibile inedita lingua pittorica, acerba e turgida insieme, grama e smagliante, alcune volte al limite della semplificazione puerile o dell’invenzione folgorante, però in grado di toccare con incredibile tensione, un accordo tra un lirismo infiammato e delirante e una volontà intenta, fino all’angoscia, a penetrare il senso più profondo e più vero della realtà.
Da tutto questo nacquero paesaggi nei quali le linee vengono stravolte, duramente segnate, i filamenti e i tasselli di colore danno una fisica tangibilità a una natura che, altrimenti, apparirebbe soltanto come uno scenario fantastico. Gli interni delle stanze o di caffè hanno una scala cromatica irreale, adattata a un’abbagliante resa di ambienti vissuti, umanamente consunti, autoritratti e ritratti dal segno pencolante e anarchico, dalla dissonanza astratta ma impregnati di umanissima luce interiore.
Quella di Van Gogh fu una terribile malattia che lo spinse verso una profonda depressione e una costante stanchezza, un malessere che fece nascere in lui un’intensa e incontrollabile paura. La conseguenza di questo terrore fu una decisione estrema: una sera di luglio, nel 1890, a soli trentasette anni, Vincent si sparò in un campo di grano e morì due giorni dopo, assistito dal tanto amato fratello.