Napoli non si racconta senza le sue ombre, così come non è possibile dire di averla conosciuta davvero se non ci si è immersi, almeno una volta, nel silenzioso respiro del tufo. Un labirinto sommerso, fatto di gallerie scavate per migliaia di anni, dove l’eco della città si allontana e sembra quasi possibile percepire l’arcaica e magica vibrazione proveniente dai vulcani che l’hanno creata.
La porta, la città di sotto, la città parallela, sono ferite aperte nella roccia trasformate in garage, parcheggi, collegamenti della metropolitana, discoteche, teatri, depositi, nascondigli di merci o condotte idriche.
Si tratta di cave antichissime fatte di rocce porose che hanno ospitato, prima di ogni altra cosa, la tomba di una sirena — proprio quella che ha dato il nome alla città — creatura mitologica giunta da terre ignote, morta sulle sponde di un vulcano bagnato dal mare. Si è trattato forse di un suicidio d’amore o forse del culto per una dea — dalle sembianze di donna-pesce — portata dagli uomini della lontana Anatolia.
Una cosa però è certa: il sottosuolo di Napoli è in qualche modo abitato da quasi settemila anni. Ipogei funerari e cave greche, catacombe paleocristiane, pozzi “magici”, gallerie viarie, cisterne, vie di fuga e camminamenti militari, acquedotti romani, cunicoli medievali, passaggi segreti borbonici, templi pagani e nascondigli esoterici: tutto sospeso tra vecchie leggende e futuri possibili nell’immenso sotterraneo della città, uno dei più grandi, articolati e suggestivi del mondo. L’ultimo segreto di Partenope.
Un labirinto vuoto — milioni di metri quadri — che attraversa quasi tutti i quartieri di Napoli, una parte ancora oggi sconosciuta, di cui non si quantificano precisamente le dimensioni esatte. Un vero e proprio formicaio scavato dai coloni greci, poi dai latini, dai cavatori e oggi dalle trivelle d’acciaio che si insinuano nel ventre della città per aprire nuove strade alle automobili o alla metropolitana. Un lavoro quasi ininterrotto, dovuto soprattutto alla presenza di materiali idonei allo scavo e alla costruzione di edifici. Cave che, inoltre, negli anni Quaranta del secolo scorso, hanno protetto la popolazione dai bombardamenti aerei della Seconda guerra mondiale.
Il legame con il sottosuolo ha lasciato una traccia ben visibile nella toponomastica del capoluogo campano. Via Cisterna dell’Olio, per esempio, indica il luogo dove c’erano grandi depositi sotterranei di olio, e, ancora, vico Grotta della Marra, vico del Grottone, via Grotticella e tante altre. Un mondo che ha rappresentato per i napoletani un segno inquietante e oscuro: ipogei greco-romani, catacombe cristiane e ossari utilizzati per migliaia di anni come cimitero o fossa comune. Dei luoghi che restano allo stesso tempo fatti di magia e religione, un territorio di confine dove collocare le apparizioni di fantasmi e del munaciello, ma anche la soglia dell’Aldilà — come nel caso del Cimitero delle Fontanelle e delle altre cave-ossario —, un luogo dove avvicinare i morti per chiedere loro favori, ma anche protezione.
Sirene, sibille, maghe, teschi, aldilà, magia e sottosuolo: simboli, leggende, miti e storie che accompagnano la vita di Napoli sin dalle sue origini. Sulle orme di Omero s’incamminò Virgilio che affiancò al suo Enea la Sibilla Cumana, di casa nelle cave terre vulcaniche, la sacerdotessa che fa cadere le foglie sulle quali viene scritto il futuro che il vento scompiglia confondendone la sequenza. Ma la città ha un profondo legame anche con le terre del Vicino Oriente: si pensi ad esempio al dio Mithra o alla regina d’Egitto Iside, due culti esoterici legati fortemente al sottosuolo.
Non si può dire di aver avvicinato Napoli se non si è colta l’arcaica alchimia di miti, riti e simboli che pulsa ancora oggi nella città nascosta, là dove il futuro si confonde con il passato. Morti che comunicano attraverso i sogni, santi e anime purganti, tombe e catacombe, antichi culti e sacre figure femminili: da migliaia di anni echi, riverberi e risonanze si distendono lungo le pareti delle cattedrali di tufo che raccontano la storia della città. Perché gli abitanti degli abissi non possono che essere prima di tutto immagini “border line”, ombre in perenne ricerca di uno spazio, di un tempo. Perché è nell’ombra che si sedimenta l’energia negativa, la più potente, la più ambigua.