Non si può morire di scuola e di lavoro è uno dei tanti slogan con cui migliaia di studenti hanno occupato, anche la scorsa settimana, le piazze italiane, dopo gli scontri che avevano caratterizzato i giorni precedenti e le cariche della polizia per impedire le manifestazioni, in particolare a Torino, Roma e Napoli.
Lorenzo sangue del nostro sangue: queste le parole che hanno accompagnato i cortei, perché Lorenzo è solo uno delle migliaia di persone che ogni anno muoiono sui posti di lavoro, perché Lorenzo potrebbe essere ognuno di noi. Eppure, non avrebbe dovuto trovarsi in un cantiere alla sua età, vittima di una scuola schiava anch’essa del profitto, come tutte le nostre vite. Di una scuola che, anziché educare e accompagnare i ragazzi, li getta nella fossa dei leoni e segue becere logiche di mercato.
Non una parola sincera di cordoglio né comprensione. Anzi, come se quanto successo non fosse bastato, lo Stato ha deciso chiaramente da che parte schierarsi: dalla parte dei carnefici e non delle vittime, dalla parte degli oppressori e non degli oppressi abbandonati al loro triste destino. E così, le forze dell’ordine, per dare seguito a una direttiva introdotta per salvaguardare le misure anti-contagio (di cui le istituzioni sembrano ricordarsi solo quando fa loro comodo), colpiscono a suon di manganelli i ragazzini. Piccoli delinquenti che quasi se lo meritano – a sentire le parole del Sottosegretario all’Interno Nicola Molteni – perché hanno delegittimato le nostre forze di polizia, mentre non possono essere accettati sputi o intimidazioni nei confronti dei tutori dell’ordine pubblico. E quindi, anziché tutelarlo quest’ordine pubblico, si creano situazioni di pericolo, si persegue quella stessa idea di sicurezza che porta alla previsione di bodycam per i reparti mobili e l’onore è salvo. Quello stesso onore che non sembra vacillare quando chi rappresenta lo Stato si rende colpevole di abusi e violenze, di soprusi per sempre celati.
Ma gli studenti non sono gli unici a essere repressi dallo Stato quando difendono i loro diritti e i loro spazi: è quanto avvenuto meno di un mese fa a Torino ai cittadini del Comitato EsseNon, che si oppongono alla costruzione dell’ennesimo Esselunga e in particolare della pista di servizio per camion che potrebbe privare la comunità torinese di un’aula studio che può ospitare fino a cinquecento persone, di uno spazio che è cultura, condivisione, seconda vita per luoghi che altrimenti sarebbero finiti.
«Comala è l’associazione che ha in concessione questi spazi pubblici della città di Torino», ci racconta Mariangela Ciriello, conduttrice radiofonica di Border Radio, una delle realtà che vivono lo spazio. «Siamo tutti nei locali dell’ex caserma La Marmora di Torino, e di questi una parte è della Circoscrizione 3 che l’ha data in concessione a tre associazioni negli anni scorsi. L’associazione che più delle altre viene identificata con il nome dello spazio è Comala, diventata centro culturale, di protagonismo giovanile, con un’aula studio e numerosi servizi musicali. Border Radio stessa è nei locali ristrutturati da Comala negli anni. Altre realtà sono poi l’associazione degli anziani e l’Associazione Eufemia, che si occupa in particolare di progetti sociali. Le concessionarie e altre associazioni hanno poi creato lo scorso anno un’associazione di secondo livello – Zoe ex Caserma La Marmora – con la quale abbiamo presentato il nuovo progetto di concessione degli spazi nella loro totalità, un progetto di riqualificazione urbana di quei luoghi che solitamente erano abbandonati e che ora sono diventati – grazie a Comala – un luogo frequentatissimo. Il tutto è autofinanziato e auto-costruito. Gli spazi esterni, riscaldati, diventano poi sede degli eventi e dell’attività culturale, che si sviluppa sostanzialmente nel cortile dell’ex Caserma La Marmora, che è proprio lo spazio coinvolto nella costruzione della strada di servizio per l’Esselunga. Considerato che tutta l’attività si svolge tra il cortile e il giardino, ne va della sostenibilità stessa dello spazio e della sua sopravvivenza per il futuro. Abbiamo avuto un incontro di recente con la nuova giunta di Circoscrizione, per riprendere in mano il progetto dopo un anno. L’attività intanto va avanti nell’incertezza».
Mariangela ci racconta poi come è nato il Comitato, di cui Border Radio fa parte: «Comala ha lanciato una petizione comunale un anno fa, con cui ha raccolto 3mila firme tra i cittadini e anche una petizione di sostegno politico con Change.org. Da quella mobilitazione, dopo anni di silenzio della Circoscrizione sulla questione Esselunga – la cui costruzione avrà un impatto enorme sulla città – senza aprire alcun dialogo con la cittadinanza, Comala ha finalmente avviato la discussione. Abbiamo manifestato e subito delle cariche il 15 gennaio, la settimana prima delle violenze che hanno coinvolto gli studenti. Io ero lì, quel giorno era stata annunciata la passeggiata di quartiere e le persone si sono posizionate nella via di fronte al centro, prima del cortile. C’è stato un dispiegamento di forze dell’ordine imbarazzante: c’erano tante famiglie e, nella caserma, circa duecento studenti. La situazione è degenerata subito: già con i ragazzi posizionati c’è stata una prima manganellata e, dopo un primo stallo, quando il corteo ha deciso di percorrere il vicolo perdonale per sbucare in prossimità del parco che verrà abbattuto per la costruzione dell’Esselunga, al fondo hanno trovato un altro cordone di polizia che ha caricato i manifestanti. Intanto, altra gente arrivava. Si è creata una vera situazione di pericolo.
Nel frattempo, le forze dell’ordine hanno bloccato l’entrata, siamo stati trattati con arroganza, e le persone sono state manganellate durante gli scontri. Avete potuto vedere dai video cosa è successo. Anche i cortei nelle vie parallele sono stati caricati malamente. Quello stesso giorno è stata convocata la conferenza stampa. Due settimane dopo c’è stata un’altra mobilitazione importante con la biciclettata. C’è stata una narrazione becera, che ha poco a che fare con la sostanza del problema. Ci tengo a precisare che si tratta di un comitato cittadino, che esprime varie realtà, che non si riducono ai centri sociali. La narrazione che ne fanno alcuni politici è del tutto strumentale e non tiene conto dei cittadini, degli studenti e degli utenti che vivono gli spazi».
Quella di Torino e di Comala è l’ennesima storia dello stesso tenore: ci tolgono spazi, momenti di condivisione, ci privano del diritto allo studio e poi ci puniscono, come se queste non fossero necessità. Siamo gli untori, siamo i violenti, siamo gli sfaccendati, eppure abbiamo i nostri sogni e, a differenza di altri, sappiamo bene da che parte stare.
Resisti, Comala.