Vent’anni fa, il 4 febbraio del 2004, presso l’università di Harvard, nasceva Facebook. Avviato a uso esclusivo degli studenti dell’ateneo statunitense, poi trasformato in una piattaforma di interazione sociale con scopi di carattere commerciale, il social network più famoso al mondo ha rappresentato una svolta epocale nella storia dei rapporti umani.
Analizzare il fenomeno Facebook in un solo articolo è quasi impossibile. Sono tantissimi gli aspetti del sito creato da Mark Zuckerberg che meriterebbero di finire sotto la lente d’ingrandimento e creare occasioni di dibattito, tuttavia qual è la prima immagine a cui chiunque lo collega? La socialità.
L’evoluzione di Facebook, nel corso degli anni, ha portato una serie di impatti sul modo di interagire tra le persone, alcuni apparentemente positivi (come la possibilità di connettersi in tempo reale con chiunque in qualsiasi parte del pianeta), altri palesemente negativi, soprattutto tra le generazioni più giovani. Dati alla mano, proviamo a raccontare i più significativi.
Facebook ha cambiato – di fatto – le nostre vite, il nostro modo di lavorare, di accedere alle notizie, eppure, l’aspetto forse più importante sul tema che si intende proporre diventa evidente all’emergere di Instagram, acquisito da Zuckerberg nel 2012. Non più parole, pensieri, stati d’animo in evidenza dunque, ma immagine. Facebook, attraverso questa sua nuova appendice, introduce una cultura dell’estetica che permea profondamente la vita online degli adolescenti – e non solo – di tutto il mondo. L’ossessione per la perfezione visiva genera un ambiente competitivo in cui gli individui si confrontano costantemente con standard irrealistici, per di più mossi da logiche di tipo consumistico e commerciale. L’autostima erosa dalla necessità di proporre un profilo pubblico impeccabile, sulla scia di quelli proposti dagli influencer, spesso all’inestimabile prezzo di una crescente insicurezza e alla ricerca ossessiva di approvazione attraverso il numero di like e follower.
Come se non bastasse, la competizione con altre piattaforme come TikTok – che Instagram ha prontamente provato a copiare – ha amplificato ulteriormente questa pressione. La natura effimera, fugace e altamente dimostrativa dei contenuti su TikTok ha contribuito a una cultura dello spettacolo che spesso prevale sulla genuinità delle interazioni umane, oltre che sulla valenza dei contenuti, con la mediocrità a proporsi quale via immediata per il successo. L’età di chi ne usufruisce si abbassa drasticamente e gli utenti – ragazzini – si spingono a cercare l’attenzione attraverso video sempre più elaborati, sacrificando la profondità delle relazioni per la ricerca di viralità e popolarità momentanea.
Avete presente la teoria del piano inclinato? No? Ve la spiego. Se mettete una pallina su un piano inclinato, la pallina comincia a scendere e, per quanto impercettibile sia l’inclinazione, inizia a correre e correre sempre più veloce. Fermarla è impossibile.
La citazione in perfetto stile boomer di Aldo, Giovanni e Giacomo apre, quindi, all’irruzione che l’Intelligenza Artificiale (IA) ha messo in atto negli ultimi tempi, giocando un ruolo significativo nel plasmare l’esperienza degli utenti su Facebook, spesso con conseguenze dai toni scuri. Gli algoritmi predittivi progettati per personalizzare il feed di notizie hanno contribuito a creare delle bolle informative in cui gli utenti sono esposti solo a contenuti che confermano le loro opinioni preesistenti, alimentando la polarizzazione e compromettendo il dibattito pubblico, oltre che indirizzandoli verso i prodotti che l’azienda intende loro mostrare. In fondo, si tratta pur sempre di consumatori, e in età facilmente influenzabile.
Così, l’IA ha alimentato il fenomeno della disinformazione. Gli algoritmi di raccomandazione tendono ad amplificare notizie sensazionalistiche o fuorvianti, minando la fiducia nell’informazione e contribuendo alla diffusione delle fake news, la coesione sociale e il senso di realtà condiviso. A tutto questo, va aggiunto che Facebook, nel corso dei suoi venti anni di storia, ha subito numerose critiche legate alla privacy e alla gestione dei dati degli utenti.
Il caso Cambridge Analytica è stato uno dei più discussi e ha messo in luce le vulnerabilità del modello di business basato sulla raccolta e l’uso dei dati personali. Insomma, un’arma virtuale che – come per qualsiasi ordigno – se nelle mani sbagliate non può che provocare danni. Danni patiti da quella gioventù esposta a un’immensa pressione per adattarsi agli standard imposti dai social media. La necessità di conformarsi ai canoni estetici e alle tendenze digitali – si è dimostrato – ha avuto gravi conseguenze sulla salute mentale e sul benessere emotivo degli utenti, contribuendo a un aumento dei disturbi legati all’immagine corporea e all’ansia sociale.
Per non parlare di fenomeni quali la dipendenza o l’alienazione crescente dalla vita reale. Gli individui più fragili possono finire per preferire le interazioni digitali superficiali rispetto alle relazioni significative e autentiche. La socialità diventa spesso una questione di quantità piuttosto che di qualità, con le persone che ne fruiscono ormai in pochi attimi dalle app del cellulare che cercano gratificazione istantanea attraverso like e condivisioni anziché investire tempo e sforzo in rapporti veri e duraturi.
Investire nella sensibilizzazione e nell’educazione sui rischi dei social media è sempre più urgente, seppure nessun governo abbia mai dimostrato di voler intraprendere un serio percorso formativo in tal senso, fornendo agli utenti soprattutto più giovani gli strumenti necessari per navigare in modo consapevole e responsabile.
L’impatto negativo di Facebook sulla socialità digitale è, dunque, evidente e profondo. Dalla pressione estetica di Instagram alla ricerca spasmodica di attenzione su TikTok, agli effetti nocivi dell’IA sulla qualità dell’informazione, la piattaforma ha contribuito a una società in cui la genuinità delle relazioni è spesso sacrificata sull’altare della popolarità e dell’apparenza. Bilanciare innovazione tecnologica e benessere sociale, preservare la verità, è la prossima sfida.