Un mondo aperto per una buona politica: si chiama così l’ultimo libro di Vannino Chiti, Lucio Romano e Paolo Corsini, uno scritto che, più che una funzione di racconto, si propone di interpretare e delineare una modalità di fare politica che si esprima non (solo) nelle aule parlamentari, nelle segreterie e nelle direzioni di partito ma che, anzi, parta dalle realtà sociali, dalle associazioni, e che tenga conto delle dinamiche dettate dal globalismo e dalla multiculturalità.
Abbiamo approfondito questi aspetti con Vannino Chiti, già senatore del PD, Ministro dei Rapporti con il Parlamento e Presidente della Regione Toscana.
Cosa Vi ha ispirato nella stesura di questo libro?
«Il libro è nato come frutto di vari scambi di idee tra me, Lucio Romano e Paolo Corsini – i tre che poi ne hanno curato la realizzazione – sull’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco, in particolare sulle sollecitazioni che pone alla politica. Il Papa, da un lato, esprime una severa critica alla politica che di frequente oggi si preclude uno sguardo progettuale sul mondo e sul futuro, scivolando in scontri furibondi di potere; dall’altro, sottolinea il bisogno della buona politica. Così è nata l’idea di chiedere a donne e uomini tra loro diversi per collocazione, formazione, cultura, ma che avevano in comune l’esperienza di essersi impegnati in una fase della loro vita nella politica e nelle istituzioni, una riflessione libera su capitoli dell’enciclica. Naturalmente, gli autori partono dalla valutazione dell’importanza dell’enciclica e dalla convinzione che su di essa ci si debba confrontare, sviluppando un dibattito non di breve periodo. Questo è un obiettivo del libro. Sono venticinque gli interventi complessivi, ognuno svolto a partire – voglio ribadirlo – da un’assoluta libertà di pensiero, all’interno di regole rigorose per tutti solo in relazione agli spazi a disposizione e alla struttura formale dei contributi. Tutti quelli che abbiamo invitato sono stati disponibili. La stesura del testo è stata portata a compimento tra luglio e ottobre 2021».
Crede che quella che definite come l’esigenza di arrangiarsi sia diventata l’ordinaria amministrazione della politica?
«La politica non è, se guardata in un’ampia prospettiva, solo esigenza di arrangiarsi. Ci sono nel mondo movimenti delle giovani generazioni e delle donne per i diritti umani, per la libertà e la democrazia, per il disarmo, per uno sviluppo fondato su giustizia sociale ed ecologia ai quali dobbiamo guardare con fiducia e speranza. C’è una sollecitazione delle fedi religiose ad affrontare con il dialogo, la collaborazione tra credenti e non credenti le sfide che abbiamo di fronte dandoci come obiettivo il bene comune dell’umanità. Quello che ancora manca è la capacità della politica portata avanti dai partiti, a cominciare dall’Europa, di farsene carico, di elaborare progetti all’altezza di quelle sollecitazioni, di offrire una risposta adeguata. Questo fa sentire spesso lontane o indifferenti le istituzioni. E ciò non rende più forte ma più fragile la democrazia».
Avete avuto l’onore di consegnare questo libro al Presidente Mattarella. Quali sono gli elementi in comune e gli elementi di discordia tra lui e Papa Francesco?
«Tutti gli autori del libro sono stati unanimi nella scelta di dedicarlo al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Presidente rappresenta per noi un riferimento nella concezione e nella pratica della buona politica. Lo è nella sua vita, non solo nel settennato di Capo dello Stato. Non vedo aspetti di “discordia” tra l’azione di Papa Francesco e quella di Mattarella. Non semplicemente perché il Presidente della Repubblica è cattolico. La sua idea di democrazia, di solidarietà, di costruzione di rapporti di cooperazione e pace tra i popoli si muove nel solco della lezione del Papa. Mattarella concepisce e si è sforzato di attuare nelle sue responsabilità la politica come servizio, come azione per il bene comune e lo ha fatto con competenza, equilibrio, saggezza, con una dedizione rigorosa e con sobrietà. Questo è stato il suo stile al Quirinale e prima. Naturalmente i compiti di un esponente politico e quelli di un leader religioso non sono gli stessi: i valori possono essere comuni, le iniziative no, altrimenti non vivrebbe la laicità, inseparabile dalla democrazia, ma saremmo tornati a una coincidenza di ruoli religiosi e politici, verso la quale nessuno nutre rimpianti».
Lei è tra quelli che auspicano un suo bis?
«Il mio giudizio e il mio personale affetto nei confronti di Sergio Mattarella mi pare che risultino chiari. I miei auspici si arrestano davanti non solo alla volontà ma alle motivazioni del Presidente sulla rielezione per un secondo mandato: la Costituzione non lo vieta formalmente, ma lo interpreta come un’eccezione. Allora il mio auspicio è quello che il nuovo o la nuova Presidente della Repubblica si ispiri nell’esercitare la sua funzione allo stile politico-istituzionale di Sergio Mattarella. Darà così un contributo importante all’Italia e al nostro impegno collettivo, come Paese, per sostenere la realizzazione di una democrazia federale europea, indispensabile al Vecchio Continente e al mondo».
Nel libro si fa presente come la buona politica abbia di base la custodia del valore uomo: può fare un esempio di tradimento di questo valore?
«Potrei, purtroppo, farne molti, ma ne scelgo alcuni che mi colpiscono: rifiutare l’ingresso nell’Unione Europea a qualche migliaio di migranti, tra i quali molti bambini e donne, tenuti al freddo, esposti con cinismo alla morte ai confini della Polonia. Voltarsi dall’altra parte mentre il Mediterraneo diventa un cimitero di persone in fuga da povertà, disastri ecologici, guerre mentre avremmo dovuto realizzare non lager in Libia ma centri di accoglienza, poi corridoi umanitari per le nazioni dell’Unione, la redistribuzione in tutti i Paesi delle persone che hanno diritto all’asilo politico. E tutto questo mentre in nazioni europee e soprattutto in Italia si assiste a un gelo demografico, con i morti che hanno superato le nascite. Lo sfruttamento indiscriminato delle persone, che provoca un susseguirsi di morti nei luoghi di lavoro: il diritto a un lavoro degno, alla sicurezza e alla salute nel lavoro spazzati via da concezioni del profitto come esclusivo valore, del lavoratore come semplice merce. Nell’emergenza del Covid, che sta continuando, i costi del vaccino, che impediscono ai continenti più poveri di poterlo distribuire alla popolazione, mentre in questi stessi anni crescono le spese militari. La sottovalutazione dell’aumento del clima e le misure insufficienti per fronteggiarlo. Ecco tutti questi che ho richiamato – ma sono soltanto pochi esempi – mostrano una politica che calpesta i diritti e la dignità della persona».
Come risponde a chi afferma che Papa Francesco è il principale leader politico progressista d’Occidente?
«Vorrei che quanti a destra e nel fronte conservatore attaccano Papa Francesco citassero i passi del Vangelo, gli aspetti del messaggio di Gesù che sarebbero in contraddizione con il suo insegnamento e la sua opera. Non lo fanno perché il Papa si muove tornando a porre al centro del mondo cristiano Gesù. Fa politica? Certo, ma non per le sinistre o per le destre, bensì per l’umanità. È il suo compito. Una fede religiosa che non fa politica non si occupa della persona, della società, dell’ambiente ma solo dell’aldilà. Una liturgia, una funzione religiosa, una preghiera separata dalla vita, dall’impegno e dalla cura degli altri sarebbe vuota astrazione, forma senza sostanza. Fare politica non vuol dire trasformarsi in partito né occupare la funzione propria dello Stato. Vuol dire, per un credente, parlare di Dio e occuparsi delle persone. In tutte le fedi religiose Dio si incontra nella persona umana, negli esseri viventi, nel creato. Papa Francesco, che pazientemente costruisce ponti di dialogo e di impegno comune tra le religioni a beneficio dell’umanità e del pianeta, dà un contributo alla realizzazione di una civiltà più progredita. Non piace a chi non vuol sentire parlare di economia che “scarta” le persone non ritenute utili ai profitti, di modello di sviluppo che distrugge dignità umana e pianeta, di proprietà privata che si giustifica solo se ha anche una funzione sociale. Ma, lo ripeto, è il Vangelo a dirlo. Questo Papa cerca di non farlo dimenticare e di rendere attuale e impegnativo il messaggio cristiano per ogni credente, di far sì che la preghiera sia coerente con la vita di ogni giorno».
Papa Francesco parla di epoca di cambiamento ma non di cambiamento d’epoca. Qual è la differenza tra questi due aspetti?
«È una grande intuizione, posta a sollecitazione dell’azione Chiesa e in generale della politica. Il semplice spostamento di una parola, “cambiamento”, dà il senso di una trasformazione profonda. È quello che sta avvenendo intorno a noi. Non cambia qualche settore ma tutto: i modi di produrre, consumare, viaggiare, comunicare, le relazioni con la politica, le religioni, le istituzioni. È una rivoluzione, segnata dalle tecnologie informatiche: non la percepiamo perché ci siamo immersi. La domanda è: cosa dovrebbe fare un partito progressista di fronte a un cambiamento d’epoca? È una finzione porre la questione in termini di scelta tra conservazione e innovazione. Il vero problema è quale innovazione. Quella che mantiene un tipo di sviluppo che distrugge la dignità delle persone, approfondisce le disuguaglianze, rafforza i privilegi oppure un modello alternativo fondato su giustizia sociale ed ecologica? Un welfare universale che aiuti a dare a tutti una base di uguaglianza, su cui si costruiscano le opzioni e le potenzialità di ognuno, oppure il mantenimento di rendite di posizione, la marginalizzazione di tanti? Una democrazia che abbia a fondamento i diritti civili e sociali, la libertà unita a consapevole responsabilità, la partecipazione oppure un ordinamento che si riduca solo a regole, procedure, indifferente al senso civico delle persone, incapace di incidere nella realtà della loro vita quotidiana, nei loro bisogni primari. Una forza politica progressista deve avvertire che bisogna ricostruire anche un’etica condivisa tra credenti e diversamente credenti e sapere unire quanti vogliono impegnarsi per il bene comune. Questo è l’orizzonte che ci consegna il cambiamento d’epoca nel quale siamo ormai immersi».
Quando sostiene che oggi l’umanità è più coinvolta rispetto al passato nell’attenzione alla propria esistenza, pensa che questo fattore possa produrre egoismo sociale?
«È un esito possibile, non scontato. La preoccupazione per la propria esistenza può dare vita a un individualismo egoistico diffuso oppure a un sentimento di condivisione, di fraternità, di destino comune. Dipende ancora una volta dalla cultura che si afferma, dal ruolo degli intellettuali, delle forze politiche, delle stesse religioni. Quello che a me appare evidente è che se non si afferma la condivisione, la fraternità, la consapevolezza del destino comune a rischiare la propria esistenza futura saranno umanità e pianeta. Non ci salviamo da soli. È il messaggio che ci consegna l’enciclica. La pandemia, la crisi ecologica lo confermano e rafforzano. Al tempo stesso, queste sfide ci dicono a quale livello dovrebbe collocarsi il progetto di innovazione che le forze progressiste dovrebbero saper promuovere. Se sapranno farlo, rinnovando profondamente se stesse, allora contribuiranno a realizzare la buona politica».