Pioggia d’Agosto è il primo singolo della cantautrice campana Valeria Longo, napoletana d’origine e casertana d’adozione. Si tratta del primo tassello di un album dedicato al blues, al Mediterraneo e alle sue sonorità meticce, fluide, in costante trasformazione. Sul ritmo malinconico della chitarra di Emilio Di Donato, il nostalgico clarinetto di Emilio Merola e il violoncello dolce di Artan Tauzi, si dipana una storia di rimorso, amore e perdita. Nel video, due ballerini di tango si inseguono, persi in una danza struggente tra i vicoli di un paesino del Sud. Il brano è disponibile su tutte le piattaforme, primo frammento del progetto che Valeria ci ha raccontato in questa intervista.
Innanzitutto congratulazioni per il tuo singolo, Pioggia d’Agosto. Volevo partire proprio da qui: come mai hai scelto questo brano per cominciare? È un manifesto del tuo album, anticipa ciò che verrà, o è frutto di una scelta personale?
«In realtà ero molto indecisa su quale pezzo scegliere perché tengo a tutto il disco e sto già pensando a i video futuri e alle varie location in cui girarli. Pioggia d’Agosto però è molto rappresentativa perché è una storia ambientata tra i vicoli di un paese del Sud, durante la festa patronale, tra giostre, marionette e zucchero filato. Tutto il disco è ambientato al Sud, nel Mediterraneo, quindi il brano era perfetto per dare un’idea di quello che stiamo facendo. Pioggia d’Agosto nasce da una composizione per chitarra di Emilio Di Donato, chitarrista e compositore di Caserta. Ascoltando i suoi accordi ho sentito di doverci scrivere su, spesso è proprio la musica a suggerirmi le parole di testi. In questo caso mi ha fatto vedere delle immagini, i vicoli di questo paesino. Mi è venuta in mente la storia di un uomo che è indeciso su quale decisione prendere e quindi cambia i piani per non pensarci più. Decide di farsi prete, non inseguendo più la donna che amava. Lo ritroviamo anziano, con le rughe che rigano come lame il viso, che rincontra la sua lei tra candele e santi. Capisce cha era la donna della sua vita, che ha sbagliato tutto, ma ormai è anziano e non può più tornare indietro. Allora, decide di togliersi la vita: fece un tuffo giù e più non ritornò».
Mi dicevi che tutto il tuo album sarà incentrato sul Sud e non posso fare a meno di notare che condivide il titolo con il romanzo di Ian Chambers, Mediterraneo blues, edito da Tamu Edizioni. Che ispirazioni condividi con questo autore, perché scegliere il concept di Mediterraneo blues?
«In realtà, io ho scritto la mia tesi di laurea magistrale con il Professor Chambers, con l’intenzione di analizzare da un punto di vista molto moderno le fratture della civiltà occidentale. A un certo punto, l’Occidente ha eretto un muro concettuale, ma in realtà musicalmente l’incontro con culture diverse c’è sempre stato, come quello con la cultura black degli anni Sessanta e Settanta. Il senso dell’album è quindi quello di eliminare queste barriere mentali perché c’è un terreno culturale comune tra tutti i popoli del Mediterraneo che ci permette di conoscere noi stessi anche attraverso l’altro. La musica napoletana, ad esempio, ha molto in comune con la musica greca o quella araba, cosa che si riflette nelle sonorità del disco, soprattutto grazie a un percussionista tunisino con cui collaboro. Sarà un disco con molte contaminazioni, che parte dalla tradizione classica napoletana per poi allontanarsene ed esplorare culture differenti».
Il Professor Chambers usa poi due elementi molto fluidi per decostruire questa fortezza granitica dell’Occidente: il mare e la musica, sempre in trasformazione. Sono elementi difficilissimi da inserire in compartimenti stagni e da etichettare: immagino che sia lo stesso per te, per il genere di musica che fai.
«Sì, esatto: se dovessi descrivere cos’è la mia musica sarei in difficoltà. Forse cantautoriale, forse world music, ma ci sono anche elementi pop. C’è poi un quartetto d’archi e dal punto di vista linguistico i testi saltano dal francese al napoletano».
Abbiamo parlato del Mediterraneo, adesso concentriamoci sul blues. Nel romanzo l’elemento blues si ricollega al lutto e alla denuncia di ciò che succede nelle acque del Mediterraneo quando si respinge la diversità. Nel tuo disco invece cos’è il blues?
«Nel mio disco non c’è il blues come genere musicale, ma come sentimento. È una malinconia che pervade tutto l’album, a livello sonoro e concettuale, c’è anche in Pioggia d’Agosto. Con Emilio Di Donato ho lavorato a quattro mani anche per un altro brano: Uocchie, gli occhi. È un brano dedicato agli occhi dei migranti, quelli che non sono mai riusciti a vedere la terraferma perché morti nel Mediterraneo. Il loro sogno è terminato lì, in acqua. Tengo molto a questo brano e probabilmente sarà il prossimo singolo».
Quindi la costruzione di questi brani è corale? Qual è il tuo processo creativo?
«Diversi brani sono scritti a quattro mani, in altri ho scritto sia la linea melodica che i testi. È un processo molto eterogeneo, generalmente mi avvalgo di una loop station: mi creo una linea di basso, la batteria, delle armonie, e così arrivo alla linea melodica. I brani che compongo poi vengono arrangiati da altri musicisti nel disco, la loop station entra in gioco solo in fase preliminare di composizione».
Dopo Pioggia d’Agosto, qual è la rosa dei possibili prossimi singoli?
«Sicuramente ci sarà il video di Uocchie e poi mi piacerebbe realizzare anche il videoclip di un altro brano dedicato a Napoli, che si chiama Città Jazz. Si ispira agli scritti di Napoli Porosa, dove Napoli viene descritta come città liquida, porosa, jazz nel senso della continua improvvisazione di una città che non resta mai uguale a se stessa, ma cambia continuamente. Vorrei anche realizzare il video di un altro brano: Caramelle della nonna. È un po’ il manifesto del disco, si basa sui miei ricordi di bambina. Avevo voglia di riportare alla luce questi ricordi, riviverli attraverso la musica. Nonostante tutte le tematiche di cui abbiamo parlato, Mediterraneo blues è anche un disco autobiografico»
Penso che sia sempre difficile per un artista non inserire qualcosa di autobiografico nel proprio lavoro: alla fine l’arte è sempre tramutare lo sguardo che si ha sul mondo in qualcosa di concreto. Sono sempre i propri occhi, che guardano sia all’aspetto politico che personale e tutto diventa un flusso unico.
«Certo, alla fine si mischia tutto e tutto quello che viviamo diventa un bagaglio. Al momento sto lavorando anche a un altro progetto, dove ritorna Napoli: è una formazione pianoforte, clarinetto e violoncello. Sarà musica da camera, non inedita, ma appartenente alla tradizione classica napoletana. Il nostro progetto si chiama Quartetto Espresso. Mediterraneo blues invece sarà probabilmente completo in estate».