Negli ultimi anni, il tessuto della società in cui viviamo si sta sgretolando inesorabilmente facendoci scivolare in un’epoca priva di veri ideali da un punto di vista sociale e politico, caratterizzata ormai dalla corruzione e dal crollo delle speranze. Il pensiero, tuttavia, riesce ancora a muoversi e, in particolar modo, sembra danzare ed estasiarsi sulle note di Giuseppe Verdi che ci permettono di tornare indietro di qualche decennio, tra le strade di una piccola cittadina dell’Emilia Romagna.
Oltre a essere uno dei cori più noti della storia dell’opera, Va’ pensiero, collocato nella parte terza del Nabucco del 1842, dove viene cantato dagli Ebrei prigionieri in Babilonia, è anche una grande creazione corale, una drammaturgia del regista Marco Martinelli che ne condivide l’ideazione con Ermanna Montanari, traendo ispirazione dalla speranza risorgimentale per mettere in scena la corruzione dell’Italia di oggi.
Lo spettacolo, che ha avuto luogo presso il Teatro Argentina di Roma nelle giornate dal 13 al 18 novembre, ha fatto in modo che tutti gli appassionati potessero aprire i loro occhi e trarre riflessione da quel che è ed è stata l’Italia, con un pizzico di ironia e di sarcasmo presente all’interno delle varie scene. Un fatto di cronaca avvenuto in un piccolo centro emiliano di non molti anni fa si è trasformato, dunque, nell’occasione per il nuovo lavoro del Teatro delle Albe, i cui attori ne raccontano le vicende sin dal principio.
Dopo un lungo periodo trascorso a Milano, un vigile urbano decide di ritornare ai suoi natali, in Emilia, ma la corruzione è troppo forte, non vigono norme né rispetto delle regole, si trova quindi a dover affrontare aspri dissidi e, non volendo obbedire a quelli che sono i poteri forti, si fa licenziare pur di preservare la propria integrità. Lo stesso accade con la gelateria di Rosario e Maria, due napoletani che decidono di emigrare al Nord, in una cittadina considerata tranquilla, costretti poi a chiudere perché sarà chiesto loro il pizzo. Possiamo dunque notare un intreccio di mafia, politica e imprenditoria che giorno per giorno avvelena il tessuto sociale della regione che ha visto nascere il socialismo e le sue prime cooperative. Sono tutti sordi nel prendere coscienza dei problemi che vigono all’interno della società, non c’è nessuno che ascolta. E in un moto univoco sembra tutto normale: gli abusi edilizi, le centrali che inquinano, le tangenti, la stampa che abbozza. C’è un lieto cinismo nel prendersi beffa dei prepotenti che sognano di riprodurre la fontana di Trevi o i colonnati romani, caratterizzati da eccentricità, trasformando la piazza principale della cittadina emiliana, il tutto recitato con un’autenticità tale da colpire l’attenzione degli spettatori. Sono presenti, inoltre, momenti di riso per le manie persecutorie di un farabutto ossessionato dalle microspie ma soprattutto per le ire del Primo Cittadino (o della Prima Cittadina), la cui austerità è un punto centrale, a partire dalle smorfie e dalle chiare precisazioni: è il sindaco, non la sindaca perché, afferma quasi intollerante, cos’è questa smania femminista di storpiare la nostra lingua?
Quello di Marco Martinelli è un affondo drammaturgico sulla patria raccontata attraverso i suoi inferni e i suoi gesti di ribellione: un grido vibrante e doloroso di speranza affinché si trovi il senso in parole come democrazia e giustizia. Lo spettacolo, svoltosi in due atti, vede in scena la storica compagnia ravennate accompagnata da alcuni artisti ospiti e la partecipazione della Corale Polifonica Città di Anzio nell’esecuzione di arie e corali dalle opere verdiane che con le loro melodie unite al recitato volano in alto verso le miserie umane.