Vestiti striminziti, telefoni sottili, computer leggeri e portatili. Viviamo nell’era della velocità, quella in cui il mondo gira sempre più rapido, i ritmi lavorativi sono frenetici e la vita è itinerante. Per questo, le tecnologie cercano di stare al passo con le nostre esigenze e diventano più fini e facili da trasportare. Tutto, progressivamente, si assottiglia per consentire di mantenere alta la media di chilometri orari. E anche il corpo, come ogni altra cosa, subisce un grande ridimensionamento per permetterne la portabilità, finendo per diventare un ostacolo alla fretta che va costantemente superato.
Quando la vita costava cara e il cibo era un bene prezioso, l’opulenza era bellezza. Le guance con un bel colorito, gli avambracci carnosi e il ventre consistente erano sinonimo di benessere e ricchezza, e la distanza tra ricchezza e bellezza era molto breve. Ancora prima, quando la fertilità della terra si implorava agli dei, anche la fertilità umana era sinonimo di fascino e i fianchi larghi il simbolo più acclamato.
La società, dai suoi albori a oggi, ha cambiato più volte i canoni estetici associati al bello. Ogni epoca, però, ha sempre avuto in comune con tutte le altre la centralità del corpo e l’idea stessa di bellezza, la sua ricerca, ammirazione e aspirazione. L’occhio, infatti, vuole la sua parte molto più degli altri organi sensoriali, con regole sempre più rigide e irraggiungibili. Ma, se in precedenza il fisico agognato da tutti e un viso aggraziato fungevano da biglietti da visita, a sottolineare la propria agiatezza, oggi sono diventati imprescindibili per l’accettazione sociale e personale.
La dinamicità del corpo che lentamente, nel corso dell’ultimo secolo, si è assottigliato, ha cercato di rispondere alle esigenze di una vita accelerata, fino a raggiungere l’ossessione per cure dimagranti, diete e allenamenti bruciagrassi. E no, la colpa non è tutta imputabile alle immagini di figure snelle e sinuose continuamente pubblicizzate. Anch’esse, infatti, sono la risposta all’iper-dinamicità dell’età contemporanea, in cui i palazzi diventano slanciati grattacieli, gli abiti divengono aderenti minigonne e i libri si trasformano in oggetti virtuali. Il fenomeno di astrazione di ogni aspetto e oggetto della vita sociale ha inevitabilmente scatenato anche l’irrefrenabile astrazione del corpo stesso.
Non c’è da stupirsi, allora, dell’insorgere incalzante di disturbi alimentari e di diete ossessionanti. Non sorprende più che, solo in Italia, 3 milioni di persone soffrano di disturbi del comportamento alimentare, causando una vera e propria epidemia sociale. Si tratta di malattie complesse, frutto di un disagio psicologico, che portano a un ossessivo bisogno di controllare il proprio corpo, manipolandone le forme tramite l’estremamente calcolata assunzione di cibo. L’insorgenza del disturbo, in genere, avviene in età adolescenziale e, secondo le stime ufficiali del Ministero della Salute, per il 95.9% delle persone affette si tratta di donne. Ultimi dati, però, rivelano che l’età si stia abbassando e che, tra i coinvolti, stiano aumentando anche gli uomini.
La vita ha sempre favorito il bello più del brutto, in base ai parametri dell’epoca di riferimento. Ma mentre un tempo l’aspetto gradevole era costruito intorno all’idea di benessere, oggi è semplicemente costruito. Quando le figure corpulente simboleggiavano l’abbondanza fondiaria, era la bellezza ad adeguarsi a chi ne incarnava le caratteristiche. Adesso è l’individuo a dover modellare se stesso per soddisfare le imposizioni estetiche del mondo, che diventa l’industria del bello, una fabbrica che costruisce standard di fatica e privazione, concetti molto lontani dall’idea antica di salute.
Il corpo è stato il primo strumento per comunicare che l’essere umano ha avuto a propria disposizione. A partire dalle semplici e silenziose conversazioni degli uomini primitivi fatte di gesti e mugugni, fino ad arrivare a un complesso utilizzo dell’apparato fonatorio grazie al quale siamo in grado di pronunciare le parole. Ancora oggi, nonostante linguaggi complessi, mezzi di comunicazione di massa e social media, resta il nostro medium principale. Il primo a parlare, a dire qualcosa di noi, che in base a cosa indossiamo e a quali forme assumiamo decreta il nostro destino e il nostro posto nella società.
Ma se sono una fetta di torta o pochi grammi di pasta in più a decidere chi siamo, se è solo sul nostro aspetto che si basa il nostro valore, non ha più senso pensare, non serve più a nulla avere qualità diverse dai muscoli sodi, non porta più a niente la fatica, se non quella fatta in palestra. Invece di vivere in un mondo di apparenza, che va troppo veloce per tenerne il passo, quindi, forse sarebbe più facile e produttivo, semplicemente, rallentare.