In questi giorni, si sta combattendo una delle battaglie più importanti del nostro secolo: la battaglia per l’Amazzonia, il polmone verde del mondo. Ieri, 9 settembre, il Supremo Tribunale Federale del Brasile si è riunito in Assemblea Plenaria per definire lo status giuridico-costituzionale dei rapporti di possesso delle aree di occupazione indigena tradizionale. Più di seimila indigeni si sono accampati a Brasilia, aspettando col fiato sospeso la decisione del Tribunale. Più di quattromila indigene si sono riversate nelle strade della capitale per essere presenti in questo momento. Il relatore Edson Fachin è stato il primo membro del STF a votare. E lo ha fatto a favore degli indigeni.
Ma che peso ha questo voto? E quali sono gli interessi in gioco? Partiamo col concetto principale: il Marco Temporal. Questa dicitura è stata introdotta dal decreto legge 490, fortemente voluto dal governo Bolsonaro. Si tratta dell’imposizione alle comunità indigene di provare di aver occupato le loro terre prima del 5 ottobre 1988, giorno in cui fu promulgata la Costituzione. Solo avendo un pezzo di carta capace di testimoniare che effettivamente erano lì trentatré anni fa, i popoli indigeni possono restare nelle loro terre. Istanza ridicola, considerando che gli indigeni sono i nativi del Brasile, ed erano lì molto prima che si chiamasse Brasile.
Nel 1988, infatti, la Costituzione brasiliana ha sancito l’inviolabilità delle terre indigene, riconoscendo il loro diritto originario, anteriore alla formazione dello Stato. Eppure, il governo Bolsonaro se n’è fregato. Richiedere carte e documenti che attestassero il Marco Temporal è stata una mossa strategica: i popoli indigeni hanno spesso dovuto abbandonare le loro terre per non essere sterminate da grileiros (accaparratori di terre), garimpeiros (cercatori d’oro) o madeireiros (taglialegna illegali). Per non parlare dei latifondisti e delle compagnie transnazionali. Gli indigeni sono da tempo in fuga, e questo è stato l’ennesimo tentativo di annientarli.
Perché, cosa pensate accadrebbe alle comunità costrette a emigrare in città devastate dal COVID e dalla fame? Bolsonaro ha fatto passare il decreto legge 490 ben consapevole di cosa stesse facendo agli indigeni. E ben consapevole di cosa sarebbe successo all’Amazzonia. Il Marco Temporal è stato elaborato infatti proprio per favorire il partito dell’agronegocio, il gruppo di lobbisti che dominano il Congresso brasiliano. Tagliare alberi per piantare la soia: questo non era possibile con gli indigeni di mezzo. Mentre il 70% della deforestazione protratta tra il 1985 e il 2020 è avvenuta su zone private, meno del 2% si è verificato nelle terre indigene. Un’altra vittoria della proprietà privata. Dunque, il governo Bolsonaro ha fatto ciò che più era conveniente per le sue tasche. L’agribusiness porta big money. Ma il Paese non è (ancora) sotto dittatura e il Tribunale ha l’ultima parola.
La seduta di ieri si è aperta con la relazione del Ministro Edson Fachin. Il caso in particolare riguarda il recupero richiesto dall’Istituto dell’Ambiente di Santa Catarina (IMA) di un’area situata in parte della Riserva Biologica di Sassafrás (SC), dichiarata dalla National Indian Foundation (Funai) come occupazione indigena tradizionale. Nella terra indigena di Ibirama-Laklãnõ vivono, infatti, i popoli Xokleng, Kaingang e Guarani. Questi popoli sono stati considerati “abusivi” dal Tribunale regionale della 4° regione (TRF-4), che ha ritenuto che non vi fosse alcuna dimostrazione che la terra fosse tradizionalmente occupata dagli indigeni. Il Funai ha proposto l’appello contro questa decisione e aperto il processo che definirà le sorti dell’Amazzonia.
Fachin ha dato una magistrale lezione di diritto costituzionale, affermando che il diritto territoriale indigeno è un diritto fondamentale e, in quanto tale, è immune alle decisioni di qualsiasi maggioranza legislativa. Questo diritto è un impegno firmato dal costituente originale, che tuttavia non l’ha creato, ma l’ha riconosciuto. La proprietà indigena è un diritto originario preesistente allo Stato e non dipende da nessun tipo di Marco Temporal. Si tratta dell’usufrutto esclusivo di una terra con una configurazione pubblica, non privata: di conseguenza, è inalienabile, indisponibile e il diritto sopra di essa è imprescrittibile. Tutti i tentativi di sfruttamento economico o occupazione sono per Fachin nulli o estinti, e non producono effetti giuridici.
Fachin ha sottolineato come il legame con la terra faccia parte della definizione stessa di identità come comunità indigena, per cui autorizzare, nell’assenteismo della Costituzione, la perdita della proprietà delle terre tradizionali da parte di una comunità indigena, significa l’etnocidio progressivo della loro cultura, con la dispersione degli indigeni che fanno parte di quel gruppo, oltre a gettare queste persone in una situazione di miserabilità, negando loro il diritto all’identità e alla differenza in relazione al modo di vivere della società circostante. La Costituzione del Brasile mira a tutelare una società plurale e il rispetto della diversità: tutti questi punti si vanno a intrecciare col diritto territoriale indigeno e con la tutela dell’ambiente, creando un quadro chiarissimo.
Dall’accampamento delle quattromila donne riunite a Brasilia per la Marcia delle Donne Indigene si è levato un boato. Alla fine del discorso di Fachin una donna anziana, con le lunghe trecce grigie, ha cominciato a piangere di gioia. Un guerriero indigeno, con l’arco stretto nelle mani, ha preso a singhiozzare. E poi urla, canti, tamburi, bambini che ballavano, donne che si tenevano per mano con gli occhi lucidi. La tensione delle ultime ore è scoppiata in un grido liberatorio. La seduta è stata sospesa e rimandata al 15 settembre a causa dei tempi troppo lunghi. Per una sentenza vera e propria, dovremo aspettare ancora. Eppure, il voto di Fachin è fondamentale: si tratta di una voce autorevole, che si è spesa quasi per quattro ore nella ricostruzione costituzionale del diritto originario. Il suo voto ha un peso e potrebbe essere in grado di influenzare il resto della Corte.
Quindi, davvero stanno vincendo i buoni? Per una volta ce la faranno? No, non festeggerei così presto. Anche se la seduta del 15 andasse secondo i pronostici, non stiamo facendo i conti con Jair Bolsonaro. Il Presidente sta minacciando i membri della Corte da mesi, in particolare il giudice Alexandre de Moraes, autore dell’inchiesta sul finanziamento e organizzazione di atti contro le istituzioni e la democrazia, che ha già portato all’arresto di numerosi alleati e militanti del Presidente. Bolsonaro ritiene che questi arresti siano politici, e ha tuonato frasi inquietanti come non accettiamo che nessuno a Brasilia imponga la sua volontà, il presidente della Corte Luiz Fux intervenga, altrimenti saremo costretti a fare quello che non vogliamo e la Corte suprema federale non ha più credibilità per aver ragion di essere.
C’è aria di golpe in Brasile. Delegittimare un organo come la Corte ha un significato ben chiaro. Bolsonaro ha già espresso che non si atterrà al giudizio sul Marco Temporal se negativo, e il 7 settembre, giorno della festa dell’indipendenza del Brasile, ha richiamato in piazza i suoi militanti. E quando Bolsonaro chiama, la gente risponde. L’adesione è stata enorme, cortei oceanici giallo-verdi hanno attraversato il Paese. Sono state fatte minacce aperte ai popoli originari e alla Corte stessa, predicando un colpo di Stato militare e la chiusura del Congresso. Circolano video in cui i militanti promettono di prelevare sangue dagli indigeni. Ieri avrebbe dovuto esserci la Marcia delle donne indigene sotto il Tribunale Supremo Federale, ma le donne hanno avuto paura di lasciare nel campo i loro bambini soli. L’Anmga (Associazione Nazionale delle Donne Indigene Guerriere di Ascendenza) ha scelto di rimandare il corteo e seguire il giudizio dall’accampamento. Basta una scintilla, e la situazione esploderà.
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