Piero Calamandrei ci ha insegnato che può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell’articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie […] alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici.
Risulta piuttosto chiaro, dunque, che per comprendere come stare al mondo, al meglio delle nostre capacità e possibilità, a scuola bisogna necessariamente prima di tutto andarci, ritrovando e donando un nuovo senso a quell’istituzione di servizio e luogo in cui lo Stato dovrebbe rigenerare e istruire omogeneamente se stesso in tutta sicurezza – al netto di improbabili decreti –, e che è invece ridotto, per ora, a mero utero incubatore di un futuro privo di un vero presente che lo coltivi, allo scopo di colmare la distanza che separa la scuola grande come il mondo, di cui parla Gianni Rodari, dal mondo della scuola pubblica.
Ebbene, diciamo sin da subito, e senza mezzi termini, che il sistema scolastico pubblico italiano non va semplicemente cambiato, ma totalmente rivoluzionato per iniziare a costituire proprio attraverso la scuola il primo vero sistema d’accoglienza e di rigenerazione culturale e demografica del Paese, formando nuovo personale docente in grado di garantire il giusto livello di istruzione e di inclusione a tutti in egual misura. Rivoluzione per cui servono risorse pubbliche. Alcuni potrebbero controbattere dicendo che il sistema italiano funziona già piuttosto bene, che di risorse se ne sprecano già abbastanza, che di insegnanti ce ne sono sin troppi. Per rifondarlo, però, non servono contrattazioni sindacali o aggiustamenti dei conti, tantomeno presunte razionalizzazioni che finora hanno avuto l’unico esito di generare caos organizzativo. Innanzitutto, serve una visione collettiva che rialimenti la scuola in quanto laboratorio di civiltà, luogo di regole a cui ubbidire affinché si tramutino in leggi da rispettare in seno a uno Stato a cui essere fieri di appartenere.
Quindi, se vogliamo evitare che i nostri giovani fuggano, forse sarebbe meglio trovare una soluzione efficace, investendo le risorse necessarie per tenere le nuove generazioni a scuola, sotto l’ala protettiva delle istituzioni. O a farlo saranno sempre più schiere di para-istituzioni private, infiltrate all’interno del sistema scolastico sotto forma di corsi di formazione gratuita, allo scopo di “regalarci” strumenti per l’inclusione didattica e la preclusione mentale nei confronti dell’altro, chiunque esso sia, purché sia innocuo e parte di una progenie scarsa quanto basta per non dar fastidio a nessuno.
I recenti indicatori demografici ISTAT dicono, a chiare lettere, che la natalità in Italia è sempre più bassa. Nel 2018 si conteggiano 449mila nascite, ovvero 9mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017. Il confronto con il 2008, poi, denuncia 128mila nati in meno. Questo si riflette e rifletterà inevitabilmente nei prossimi anni sulla popolazione in età scolare (6-18 anni). Dai 7.4 milioni del 2017 si ridurrà infatti nel 2037 di circa 1 milione di unità. Nel 1982 gli studenti erano 11.8 milioni, dunque, se ci fosse una sorta di chiusura delle migrazioni nei prossimi decenni, questa riduzione potrebbe aumentare addirittura a 2 milioni di unità. Ma anche prevedendo un apporto delle migrazioni, la popolazione in età scolare andrà comunque a diminuire e questo avrà conseguenze inevitabili sulla riprogrammazione del sistema. Le classi, elementari e oltre, si contrarranno. Bisognerà quindi cercare di capire come i docenti, di fronte a un numero minore di studenti, potranno essere reimpiegati.
Tutto questo si tradurrà, secondo Altreconomia, già nel 2028 in una perdita di 6300 sezioni di scuola dell’infanzia, quasi 18mila classi di primaria, 9400 di media e 3mila di superiori, andando così a determinare una contrazione degli insegnanti per un totale di oltre 55mila posti/cattedre in dieci anni. Scuola, migrazione e futuro vanno, dunque, di pari passo. Un Paese che invecchia non è un Paese attrattivo, soprattutto se privo del suo motore primario, ovvero la domanda interna. E un Paese senza più domanda interna, demograficamente svuotato, senza senso e dunque strategia, non può che esser destinato a farsi divorare dall’estero, proprio come sta accadendo oggi in Italia. La soluzione, quindi, qual è? L’autarchia dei processi produttivi tutti ripiegati su se stessi? Certo che no. Solo fascismo e leghismo possono condurci a elaborare pensieri così semplici, capaci di condurre lo Stato verso la morte. Il fascismo ci ha già ucciso una volta, il leghismo non ancora, ma ci stiamo decisamente impegnando per rifarlo.
Istruitevi, poiché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza per fuggire dall’oppressione delle dittature, qualunque sia la loro natura, sosteneva Antonio Gramsci nei suoi quaderni. E dove si coltiva l’intelligenza se non tra le pareti di un istituto scolastico? Ma la scuola è come l’acqua, o è accessibile a tutti in egual misura, garantendo la giusta qualità del servizio e del compito che è chiamata a svolgere, oppure non potrà che negare fatalmente se stessa. Ancor prima della giusta quantità di denari, quindi, per restare pubblica e poterne giustificare la relativa spesa da assegnarle, essa necessita di utenza per evitare di assoggettarla a logiche di rarità e dunque di speculazione privata. Cosa che, nel suo immensamente piccolo, Mimmo Lucano aveva capito, attraverso il suo magnifico, paradossale slancio di umana resilienza ancor prima che di incomprimibile resistenza.
In quel di Riace, infatti, il Sindaco calabrese aveva individuato una via verso la ricostruzione di un sistema sociale che stava ricominciando a nutrire se stesso basandosi su logiche di economia solidale, non di mercato. L’umanità è cresciuta ogni volta che ha perseguito scambi di idee, ogni volta che si è limitata a scambiare merci ha invece rischiato di estinguersi. Ma per poter essere scambiate, le idee, è necessario che queste camminino sulle gambe di uomini liberi, non di uomini che fuggono per avere salva la vita da guerre o per disperazione indotta da altri.
Allora, se è vero che la sinistra è e non può che essere quella cosa da sempre capace di dar rifugio agli ultimi, eliminando al tempo stesso le cause della loro disperazione, riscopriamola perché ce n’è un disperato bisogno. Per ora, tuttavia, non se ne intravede nemmeno l’ombra ma, si sa, la speranza è sempre l’ultima a morire in mare come sulla terraferma. Intanto, però, a scanso di qualunque pericoloso equivoco, per favore istruiamoci, poiché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza per evitare di cadere nuovamente vittime di quei lupi travestiti da agnelli, che nel frattempo, se non ci saremo adeguatamente premuniti, saremo stati in grado di continuare ad allevare.
C’è una scuola grande come il mondo. Ci insegnano maestri, professori, avvocati, muratori, televisori, giornali, cartelli stradali, il sole, i temporali, le stelle. Ci sono lezioni facili e lezioni difficili e […] Di imparare non si finisce mai, e quel che non si sa è sempre più importante di quel che si sa già […].