Lo scorso 23 giugno è stata inaugurata, in pompa magna e con un’euforia da Oscar, Casa Impresa Benessere, la nuova residenza di riabilitazione psichiatrica dell’ASL Napoli 2 Nord ad Arzano. Una struttura che, stando alle parole dell’orgoglioso Presidente della Regione Vincenzo De Luca e del direttore generale dell’ASL Antonio D’Amore, è pensata per garantire una riabilitazione a pazienti psichiatrici che per alcuni mesi abbiano la necessità di isolarsi dal contesto di vita abituale. Una decisione che non appare affatto disinteressata, considerando che i giorni dell’inaugurazione hanno coinciso casualmente con quelli di apertura della campagna elettorale per le Regionali in Campania e che tuttavia ha suscitato non poche perplessità per le finalità che la struttura persegue e per le modalità con cui è stata pubblicizzata.
Il punto di forza della residenza, infatti, sarebbe un laboratorio sartoriale da realizzare in collaborazione con l’azienda Kiton, che si è resa disponibile a inviare un proprio maestro per delle lezioni volte a realizzare una linea di cravatte a suo marchio prodotte dai pazienti. Quindi la riabilitazione e il reinserimento socio-lavorativo passerebbero per un’attività laboratoriale – i cui benefici sarebbero in gran parte dell’impresa – senza alcun accenno a eventuali retribuzioni o possibilità di assunzioni. Ma quella sartoriale non è l’unica attività che i ragazzi e le ragazze – questo l’appellativo con cui il Presidente campano si è riferito ai pazienti ricorrendo alla più becera infantilizzazione – svolgeranno, ma anche progetti di pittura e altro tipo.
Nonostante modalità di intervento che lasciano perplessi e che soprattutto tradiscono la necessità di agire in maniera interdisciplinare e differenziata a seconda del tipo di disagio psichico vissuto, l’inaugurazione è stata in gran parte occupata dall’autocelebrazione di Vincenzo De Luca che ha ripetuto innumerevoli volte che una tale struttura non si può trovare da nessun’altra parte in Italia ma è testimonianza dell’eccezionalità e dell’eccellenza della sanità campana. Ma in realtà la sanità, il diritto alla salute e la sofferenza psichica interessano poco al Governatore le cui scelte, fin dall’inizio di marzo, sono state esclusivamente finalizzate a farsi pubblicità e a vendersi nella sua veste migliore (!).
«Dovevamo affrontare in maniera seria il problema della sofferenza psichica […], e questo è anche il modo per creare occupazione con decine di medici, OSS, psicologi che saranno impiegati nella struttura». Non un riferimento alle procedure concorsuali né alle modalità di assunzioni, che suscitano non poche domande dato che dei concorsi regionali avviati con tanto orgoglio all’inizio dell’anno – poi sospesi per l’emergenza sanitaria – non si hanno più notizie, come se si fossero dissolti nel nulla o semplicemente non rientrassero nell’agenda per la campagna elettorale di Vincenzo De Luca.
Il disinteresse nei confronti di certe tematiche è lampante se si considera che la Campania investe in salute mentale il 2% della spesa sanitaria – anch’essa relegata al minimo e vittima di innumerevoli tagli di cui anche lo stesso Presidente è stato artefice – a fronte di una media nazionale del 3.5% e di un fabbisogno reale di almeno il 5%. E così si è deciso di investire risorse pubbliche per fare propaganda e per portare avanti progetti che fin dall’inizio sono da considerare fallimentari poiché non fanno altro che riproporre, seppur non nella sua veste originaria, il modello manicomiale di contenimento del disagio.
Una mega struttura che può ospitare quaranta pazienti – capienza di cui il direttore generale dell’ASL si è fatto vanto – aggira in realtà le disposizioni legislative vigenti in materia che, a cominciare dalla Legge Basaglia del 1978 che sancì il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e mise al centro il reinserimento sociale del paziente e il contatto umano attraverso interventi diversificati e mirati, stabiliscono, con la stessa legge regionale 1 del 1983, la necessità di piccole strutture che possano valorizzare capacità e interessi personali. Ma per mera propaganda e per acquistare il consenso di nostalgici delle residenze contenitore e di imprenditori – che non ci stupiremmo di trovare nella prossima lista di candidati – si tradiscono ideali e principi normativi e anzi si promette a gran voce che residenze come queste saranno aperte in almeno altri due luoghi in Campania.
Che il diritto alla salute non sia per nulla prioritario è confermato dallo stesso nome della neoresidenza, in cui si associa furbamente la parola impresa – che nulla ha a che vedere con le cure – al benessere dei pazienti. Ma se questo non bastasse, nelle varie pubblicità che si fanno della struttura si legge che sua caratteristica è porre in primo piano l’importanza del produrre, che per i meno ingenui si traduce in manodopera gratuita senza diritti né salario.
Le dure critiche al modello scelto congiuntamente da ASL e Regione Campania sono confluite anche in un appello cui hanno aderito molte realtà che operano nel settore, come Psichiatria Democratica, Medicina democratica, UNASAM (Unione Nazionale delle associazioni per la salute mentale), AIRSAM (Associazione Italiana Residenze per la Salute Mentale), Associazione diritti alla Follia, Ex Opg occupato ‘Je so pazz, Federconsumatori Campania, che sottolineano quanto strida con le esperienze territoriali affermatisi dal 1978 in poi la decisione di affidare a una tale struttura il disagio psichico di utenti che hanno ciascuno esigenze molto diverse dalle altre. Tuttavia, una tale scelta si pone in un solco già tracciato in questi anni da politiche che hanno relegato ai margini gli ultimi e i più fragili e che continuano a trattare la malattia psichica come se fosse inconsistente.
La prova è data dalla metodologia terapeutica proposta indistintamente da Casa Impresa Benessere che considera sufficiente alla riabilitazione l’isolamento dal contesto di vita abituale, che non solo non è un trattamento che risponde alle reali esigenze dei pazienti ma può risultare molto dannoso per chi vive un disagio di natura psichica, come le esperienze manicomiali dovrebbero averci insegnato. Come sottolineato da Salvatore Di Fede, Segretario nazionale di Psichiatria Democratica, la mega struttura è una cattedrale nel deserto, posta in una zona periferica che non favorisce in alcun modo i contatti sociali, mentre il miglioramento delle condizioni di salute dei pazienti passa proprio attraverso l’inserimento in contesti civili e urbanizzati.
Critiche a cui i promotori della struttura hanno risposto affermando che i posti non verranno occupati tutti contemporaneamente – e allora appare inspiegabile come ingenti risorse siano state utilizzate per prevedere addirittura il doppio dei posti consentiti per legge – e che si tratta di un modello pensato per sottrarre dalle mani dei privati la gestione della salute mentale. Ciò che però non convince è che lo si faccia con le stesse modalità utilizzate dalle strutture cui si fa riferimento e prevedendo dei costi per la gestione che difficilmente potranno essere sostenuti se non affidando il servizio a un privato.
L’esaltazione di De Luca e il suo appoggio a un progetto che è un’offesa a chi ha sopportato il dolore di una realtà manicomiale non è solo l’ennesima trovata propagandistica che si compie sulla pelle degli ultimi, ma è il chiaro manifesto di una classe politica che vuole marginalizzarli, riproponendo modelli di segregazione e repressione che dovrebbero essere superati da tempo. Nuovamente il manicomio, come simbolo di esclusione e privazione di diritti e dignità, irrompe sulla scena e si sostituisce a politiche che favoriscono l’autonomia dei più fragili e il loro pieno inserimento in società attraverso la garanzia di diritti basilari, come quelli al lavoro, all’abitare, a essere uomini riconosciuti come tali.