Una de dos (Una di due), romanzo breve dello scrittore messicano Daniel Sada, percorre l’incalzante, incerta, altalenante, eccentrica vicenda delle gemelle Gamal. Pubblicata da Alter Ego Edizioni nella traduzione di Carlo Alberto Moltalto, la storia segue un ritmo tutt’altro che pigro, frenetico, dove a farla da padrona è la punteggiatura impazzita, insieme a un narratore curioso e invadente che fin da subito presenta le protagoniste al lettore.
Gloria e Constitución sono due persone identiche, si somigliano in espressioni e movimenti, e portano stessi vestiti e stesse acconciature, le quali sembra che persino il vento le scompigli in egual maniera. Solo un neo sulla spalla le contraddistingue, un dettaglio troppo facile da nascondere per chi non ha mai voluto dissomigliarsi. Rimaste orfane, scappano dalle pretese di accudimento della zia di Nadadores e aprono una sartoria a Ocampo che diviene tutta la loro vita, nella quale concentrano progetti ed energie, a parte – ovvio – che nella somiglianza, da preservare come un dono del cielo.
L’ambiguo dono, però, diviene martirio e maledizione quando, nel perfetto equilibrio che le due si sono costruite, nell’unità che rammendano ogni giorno, in simbiosi, ognuna dietro la propria macchina per cucire, e ogni notte in dischi e brindisi condivisi (quando il giorno dopo è sabato o domenica), si affaccia l’occasione dell’amore. Arriva una lettera che contiene un invito e viene scelta la sorella che parteciperà alla festa, a testa e croce con la monetina, perché insieme, così uguali, non avrebbero modo di farsi notare per la loro unicità, di catturare lo sguardo fugace di un bell’uomo interessato a una sola delle due.
Un mantra ripetuto dall’una, la fortunata nel gioco della moneta, per non ostentare la vittoria – «Dici bene, non devo illudermi» – la riposta dell’altra, la sfortunata, per tenere a bada la propria invidia – «Le tue gioie e le tue soddisfazioni saranno anche le mie» – avviano, a ritmo di repentini tradimenti e nuove alleanze, una commedia degli equivoci. Richiamando alla mente le commedie greche e latine, per le quali un personaggio prende in prestito l’identità di un altro, le gemelle si muovono sui palcoscenici della sartoria, della casa e dei noceti per riscoprirsi fatte per l’amore, così per caso, così per condivisione.
Gloria!, proprio lei!, anche lei fatta per l’amore, per quei giochi sensuali astratti, opulenza!, sospiri!, qualcosa che mai si sarebbe aspettata, dato che: quando aveva ormai previsto la fine della loro unione mentre picchiettava sui fagioli: avvenne il paradosso. E le due si abbracciarono perché sì, come se in quell’abbraccio volessero essere di colpo un solo spirito. Era giunta l’ora di brindare.
Sullo sfondo, ogni tanto c’è uno scorcio di paesaggio o di cielo tracciato poeticamente e, sempre, latenti, ci sono gli occhi insinuanti di un piccolo paese che chiacchiera, e che le sorelle contrastano con un cartello affisso al negozio: NON VENITE A DISTURBARCI…LIMITATEVI ALLE VOSTRE RICHIESTE. Moleste sono anche le lettere disperate della zia che riportano, subito dopo la sigla P.S. – quella frase insolente sempre scritta in maiuscolo: “SPOSATEVI AL PIÙ PRESTO, SCIOCCHE”.
Lui si chiama Oscar ed è piombato dal cielo; fa l’allevatore e arriva a Ocampo di domenica, il giorno per fare il bagno e profumarsi. Sono i caldi mesi di agosto, che vedono la gente scendere in piazza per vedere e farsi vedere. Attorno a lui incomincia una danza di corteggiamento e cautela, di frenesia e arrendevolezza, nella quale le sorelle sono spinte da vanità personali e accordi prestabiliti, spesso mancati, e da sogni intimi soffocati per quieto vivere. Ma in amore non è forse tutto concesso? Si possono, anche in amore, distinguere i fagioli buoni da quelli cattivi? Esiste, in un tutt’uno, una metà più degna di gloria? Qual è il ruolo della fortuna quando ha ormai espresso il suo casuale parere? Resta anch’essa a guardare?
Sante o streghe che siano, le gemelle Gamal, di fronte a un futuro insicuro, riescono ancora a distinguerne l’unica indissolubile certezza: specchi riflessi, ancora, specchi che invecchiano. Il peso di essere, l’una per l’altra, specchio riflesso le affossa, dunque, di fronte al fiorire dell’amore, che crebbe come un’edera che cerca e ricerca se stessa: interiormente: per necessità: ostinata: un impulso segreto che smarrisce la propria direzione poiché incontenibile; parimenti nacque l’ipocrisia: tra le due: ma che brutto!; ma è anche lo stesso che le riporta a galla, nel loro prezioso equilibrio, lì dove le riporterà ogni volta che riconosceranno i tratti, nonostante gli anni, nonostante il duro lavoro.
E ridono, di risate maledette e crescenti, incontrollabili, perché insieme sono piene, sono una forza, un’unica purezza. Perché l’essere una di due implica un ritorno costante alla completezza che, quale altra faccia del vuoto, non può che essere un’eterna scommessa. Quindi, testa o croce?