A Milano, in via Signorelli 1, da qualche anno c’è uno spazio letterario e d’incontro che si chiama Lato D. La lettera D non sta solo per “donna”, come ci tiene a sottolineare una delle fondatrici e libraia Marta Santomauro, ma per “desiderio”. È così che si autodefinisce: la libreria del desiderio, un vero e proprio luogo sicuro che nasce come associazione culturale durante il Covid e prosegue con attività, iniziative ed eventi legati alla divulgazione e a tutto ciò che abbraccia il mondo della sessualità e, per l’appunto, del desiderio, non solo femminile.
Ho fatto una piacevole chiacchierata con Marta che mi ha raccontato di più di questa realtà.
«Il progetto della libreria è curato da me, da Anna, educatrice, e Giulia, consulente editoriale, più altri collaboratori. Abbiamo cominciato con un bando del Comune di Milano, nascendo come associazione culturale, ospitate da altre realtà sul territorio, e abbiamo cominciato a fare degli eventi legati alle discussioni sul corpo e la sessualità. La libreria è stata aperta nel giugno 2023, con lo scopo di creare uno spazio in cui operare piccole rivoluzioni attraverso e grazie ai noi stessi, alla percezione del desiderio e di come questo si veicoli nel nostro corpo. Quindi non solo desiderio che sfocia nella sfera del sesso, ma anche in quella della trasformazione, nella politica, nel confronto, in modo da ampliare anche i modi stessi in cui si parla di sessualità. Proprio per questo motivo, il cuore della libreria è la sezione per i bambini e bambine, perché la consapevolezza deve cominciare già da quel momento».
Qual è il vostro target di clientela?
«Quando Anna, Giulia e io fantasticavamo sulla nascita della libreria, pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto vedere entrare una nonna accompagnata dal o dalla nipote, proprio per cercare di abbracciare ogni fascia d’età. Nella realtà le persone che più si avvicinano e sono interessate alla libreria sono quelle nella fascia 30-40 anni, per fortuna non solo di sesso femminile, ma anche numerosi uomini. Soprattutto loro, le persone di sesso maschile, trovo che abbiano necessità di cominciare a parlare apertamente del proprio corpo e della propria sessualità, cosa non sempre scontata e, anzi, vista come una specie di debolezza, di connotazione “femminea”. Per questo motivo, più di una volta, abbiamo proposto in libreria incontri sul “maschile”. Abbiamo un format che si chiama Parliamo di e qualche tempo fa ne dedicammo uno proprio ai genitali maschili dunque Parliamo di cazzi, accompagnato da uno specialista andrologo».
In libreria hanno più successo testi di tipo narrativo o saggistico?
«Ultimamente, noto una maggiore richiesta sul versante saggistico. Finalmente il mondo editoriale ha capito che c’è un buco enorme su questi temi, e ciò che proponiamo a Lato D è sia una saggistica che riguarda “il gioco” – un testo di questo tipo che io consiglio sempre è Club Godo di Ippocampo – sia altri come Come as you are di Emily Nagoski, un classico ormai, e le nuove proposte sulla sessualità maschile, nonché i testi sui movimenti politici e queer, come quelli di nottetempo».
Quanto spazio hanno i testi che trattano tematiche queer a Lato D?
«Non siamo una libreria specializzata, anche se ci interessano molto i testi che trattano le dinamiche di genere e d’identità. A Lato D ci approcciamo al desiderio in termini più generali, non solo queer-oriented».
Faccio una domanda provocatoria: è mai capitato di essere fraintese come luogo dedicato al desiderio? O sminuite? Fatte passare per “quelle femministe” che si riuniscono e rompono le scatole?
«Ti racconto i due opposti. Ci sono, da una parte, coloro che vengono qui spinti dagli psicologici o dai sessuologi in cerca di supporti cartacei alle terapie, e qui accade quello che la libreria ha l’aspirazione di fare, cioè aiutare le persone a scoprire il significato del desiderio; dall’altra, capitano situazioni bizzarre come persone di età avanzata che vengono a chiedere materiale pornografico».
Nel 2024 ancora non capiamo la differenza tra erotismo, sessualità, desiderio e pornografia?
«Questo fraintendimento, a mio avviso, è dovuto al contesto culturale. Si usa la pornografia come chiacchiera da bar, concentrandosi sulle dimensioni, sulle prestazioni, senza lasciare spazio alla comprensione, andando così a influenzare il modo in cui soprattutto le nuove generazioni guardano alla sessualità, ovvero in maniera distorta. Si dovrebbe parlare con i ragazzi e far capire loro che la pornografia “cinematografica”, soprattutto quella pronto uso e consumo che si trova online, non ha niente a che vedere con la vita vera, e che non si tratta di prestazioni mirabolanti come sono portati a credere, ma di consapevolezza. Buona parte di questo sfasamento si aggiusterebbe con un dialogo costruttivo con chi di dovere, insegnanti, genitori, educatori. Noi, ad esempio, ci proponiamo anche di lavorare con le scuole e quando organizziamo delle iniziative arriviamo lì con diversi strumenti; ci siamo rese conto che, entrando in classe non come docenti ma come “estranee”, i ragazzi e le ragazze si sentono più a loro agio ad aprirsi, probabilmente perché non temono il giudizio o l’accusa da parte di chi non li conosce e non è tutti i giorni con loro».