La guerra è una pazzia per Papa Francesco e per la maggioranza delle persone che credono nella pace come valore assoluto. Non lo è, invece, per il Consiglio Europeo che parla di preparazione militare-civile rafforzata nonché coordinata. Non un’ipotesi per un piano di pace ma un passaggio dalle parole ai fatti: non è il solo Macron a delirare, lo è l’Europa intera, Italia compresa, che – tra le gag della Presidente del Consiglio in Parlamento, riportate in prima pagina finanche dal The Wall Street Journal, in linea con le figuracce internazionali di Silvio Berlusconi – non ha proposto neanche uno straccio di trattativa, ma soltanto iniziative di aiuto militare e ingenti risorse per fronteggiare la guerra.
Intanto Papa Francesco è stato ufficialmente invitato a Mosca dopo i pressanti appelli per uno stop al conflitto. La fattibilità di un viaggio nel prossimo mese di giugno dipenderà anche dalle reali possibilità di discutere di un piano di pace. Pur vero che il Pontefice è l’unico leader mondiale a pronunciare tale parola, anche per questo da un po’ di tempo vive sotto attacco sia all’interno del mondo clericale che di molti esponenti politici e capi di Stato che non hanno gradito alcune dichiarazioni fatte nel corso di una intervista alla televisione svizzera: «È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca […] e quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà». Parole rimandate al mittente dal Consiglio Europeo che parla di riarmo e, manco a dirlo, dal Presidente americano, con il quale i leader dell’Occidente camminano di pari passo come avvenuto per la guerra in atto contro il popolo palestinese.
Le critiche più aspre a Papa Bergoglio non arrivano dagli atei o dai musulmani, ma da quel mondo santo e pio che dovrebbe proteggerlo e riconoscersi nella sua linea di pontificato o, meglio, nella linea che dovrebbe appartenere a ogni credente, a quel Vangelo troppo spesso utilizzato a proprio uso e consumo, quello ostentato a sproposito da quanti farebbero bene a tacere e da coloro che si richiamano alla cristianità come valore fondante dell’Europa. Non fa certo testo, se pure è un segnale, il pretino in provincia di Livorno che dall’altare ha inveito giorni fa contro Papa Francesco usurpatore, affermando che il proprio riferimento è il suo predecessore.
Francesco è sotto attacco, come noto, della curia romana che teme sempre più di perdere privilegi: è la stessa curia dei tempi del Vaticano II, delle ostilità nei confronti di Giovanni XXIII, di un concilio tenuto ingessato per cinquant’anni; è la stessa curia che ha tenuto nascosto gli scandali della pedofilia, dell’attico del cardinale Bertone. È la stessa della discutibile gestione dello IOR. Una riforma, quella del Papa, che rompe vecchi equilibri, interessi e un cristianesimo di facciata. Insomma, una parte del potere della Chiesa e di integralisti e conservatori (Francesco li definisce indietristi) non aspettano altro che una uscita di scena del Papa gesuita. È lo stesso Vescovo di Roma a dirlo chiaramente nel suo ultimo libro, Mi volevano morto, frase pronunciata tre anni fa nell’incontro con i gesuiti a Bratislava nel corso della visita in Slovacchia e non è un caso che ogni volta che gli chiedono come sta risponde ancora vivo. Di certo, non solo riferito al suo stato di salute.
Come se non bastasse, le continue voci di ipotetiche dimissioni sono la conferma del clima velenoso che circola oltre Tevere. Inoltre, le minacce di scisma provenienti dalla chiesa americana e quella tedesca non riflettono soltanto diversità di vedute strettamente legate al suo ministero ma anche di natura politica. La responsabilità statunitensi sui rapporti con Israele e la tardiva, timidissima parziale marcia indietro dopo il massacro di civili (un vero e proprio genocidio che è costato e ancora costa la vita di bambini, donne e uomini, la distruzione di ospedali e il boicottaggio degli aiuti internazionali), nonché la presa di distanza sulle parole del Papa rivolte all’Ucraina hanno certamente reso maggiormente tesi i rapporti.
Un Papa sotto assedio che si vorrebbe partecipe di un coro guidato dalle grandi potenze, allineato su posizioni inconciliabili con il suo ministero, un assenso alle scellerate politiche favorevoli al riarmo e agli arsenali traboccanti. La posizione della Chiesa di Bergoglio rende sempre più rischiosa perfino l’incolumità dello stesso messa a rischio oggi non solo dal suo interno ma da quei leader mondiali che hanno fatto barriera su una pace fatta di disponibilità, di dialogo, di ragionevolezza e non sulla necessità di utilizzare la forza per conquistare potere, scelta che inevitabilmente porterà a un coinvolgimento totale di tutti i Paesi innescando una guerra e una via senza ritorno.
Ribellarsi alla guerra, all’uso della forza, resta l’unica alternativa per evitare un ulteriore disastro umanitario, il disarmo come unica strada per una pace e lo sviluppo dei popoli.