Il titolo del presente articolo si ispira a un discorso della scrittrice Paola Barbato indirizzato al suo compagno, il fumettista veronese Matteo Bussola, da poco anche scrittore.
Le nostre bambine danno per scontato che tutto quello che tu fai sia automatico. È normale, secondo loro, che un papà prepari il pranzo, prepari la cena, la colazione, la merenda, che tu le porti a scuola, che aiuti ad asciugare i capelli. È scontato che tu faccia loro tante domande, è scontato che tu dia loro tante risposte. Non lo è. E il fatto che non lo sia deve rendere orgoglioso prima di tutto te, rende orgogliosa me e, con il tempo, io sono sicura che renderà orgogliose anche loro. Ed è un bene che si rendano conto del padre eccezionale che hanno avuto quando saranno molto, molto più grandi. Adesso, è bello che per loro un papà eccezionale sia l’unico papà possibile.
È così che la donna descrive il rapporto tra le bambine e il loro papà, fondato sulla presenza e l’interesse, sul farsi tante domande e darsi tante risposte. Matteo Bussola ha, infatti, acquistato notevole notorietà grazie a post da lui pubblicati su Facebook, riguardanti la sua famiglia composta dalla compagna e dalle loro tre figliolette. Si tratta di pagine di diario che raccontano momenti di quotidianità in cui traspaiono l’amore e la grande dedizione dell’uomo verso le quattro donne della sua vita.
I dialoghi tra Matteo e le sue bambine, le ingenue conversazioni a cui il papà partecipa tornando piccolo con loro, spiegando verità accessibili solo agli adulti in termini, invece, comprensibili anche dai più piccoli, hanno conquistato il grande social arrivando a Einaudi. È nata così, dunque, Notti in bianco, baci a colazione, una raccolta molto significativa di preziosi momenti – dolci, divertenti e commoventi – del papà con le figlie e apprezzata soprattutto dalle mamme.
Il successo del libro nel mondo femminile non desta stupore, considerata la tradizionale associazione della figura paterna al semplice dovere di lavorare e mantenere la propria famiglia, a scapito della donna. Basta questo, infatti, a fare di un uomo un buon padre, mentre si relegano al ruolo materno la presenza costante nella vita dei propri figli e il loro accudimento fisico ed emotivo.
Molti papà non hanno idea di cosa significhi aiutare nella cura della casa, preparare un pasto per la propria famiglia o, semplicemente, essere disposti ad ascoltare quello che i propri figli hanno da dire. Tutto si riversa sulla donna, perfino quando anche quest’ultima è impegnata nella sua carriera, ostacolata così dai grandi impegni della maternità e, perciò, costretta ad abbandonare ogni possibilità di realizzazione personale, passando dall’essere donna a madre, ovvero divenendo una singola sfumatura di tutto quello che potrebbe fare di sé.
A rigore di ciò, se un uomo si occupa delle mansioni genitoriali femminili per tradizione, piuttosto che essere considerato un ottimo padre viene definito un mammo. È, questo, un termine che racchiude la retrograda divisione che si è ancora soliti fare tra i compiti del padre e quelli della madre, secondo cui l’uomo è escluso dal fertile terreno della sensibilità, della tenerezza e del sincero interesse verso le esigenze affettive della prole. Si ritiene che questo campo non gli competa perché virilità e premurosità non possono coesistere. Quando ciò accade, viene generalmente percepito come motivo di imbarazzo, anziché di vanto, poiché si tratta di un tipo di attenzioni appartenenti da sempre al gentil sesso. A causa di una visione così sfavorevole per l’uomo – ma a cui quest’ultimo si aggrappa, spesso, volentieri – in molti casi il ruolo paterno è ancora marginale e superficiale.
E, tuttavia, se la donna lotta da anni per poter plasmare la sua personalità ed esistenza anche al di fuori del focolare domestico, l’uomo inizia a tentare di emanciparsi dalla figura del padre che si preoccupa di pagare le bollette ma che, di fondo, è assente. Disposto anche a indossare il grembiule da cucina, in un’epoca in cui le etichette prudono sul cuore come sulla pelle, qualche papà abbandona ogni timore e possibile sentimento di disagio di fronte al giudizio altrui per abbracciare le gioie della paternità e della vita domestica. La felicità di un figlio non risiede in regali e paghette – non è, infatti, questo a dare a un genitore il diritto di pronunciare la fatidica frase non ti faccio mancare nulla – ma nella cura quotidiana e nella partecipazione in ogni ambito della sua vita, nella disposizione a creare momenti di condivisione e di reciproco coinvolgimento nei rispettivi interessi, doveri, sogni, bisogni e paure. Quando si mette al mondo un bambino, prima ancora di padri o madri, si diventa genitori.
A tal proposito, vi invitiamo, dunque, a guardare l’intervista a Matteo Bussola e ad altri papà che riporta interessanti spunti su come la figura paterna si stia evolvendo a favore di un legame di condivisione con la prole.