Facciamo troppa fatica a utilizzare il termine genocidio. Soprattutto in prossimità della Giornata della Memoria, che ci fa tanto rabbrividire per poi dimenticare. Ormai, il 27 gennaio è passato e nessun documentario visto in tv, nessun racconto dei sopravvissuti, è servito a destarci. Perché oggi, sotto i nostri occhi sensibili alle immagini di quei disumani campi di concentramento, avviene un altro terribile genocidio culturale che difficilmente definiamo tale: quello che il governo cinese sta perpetrando nei confronti degli Uiguri.
Della martoriata popolazione che abita lo Xinjiang abbiamo parlato molte volte, eppure a questa storia non è offerta la giusta visibilità. Sebbene si sappia già da tempo ciò che accade nella regione di confine della Cina, troppi Paesi si rifiutano ancora di prendere una posizione decisa e di definire le azioni del governo cinese un vero e proprio genocidio. Ora, in prossimità delle Olimpiadi invernali di Pechino, il Parlamento francese ha adottato una risoluzione che etichetta la situazione con il giusto nome, unendosi alle prese di posizione di Paesi Bassi, Regno Unito, Usa e Lituania, che già da tempo hanno condannato le azioni della Cina. Il provvedimento, però, non è vincolante nei confronti del governo e probabilmente la Francia parteciperà ugualmente ai Giochi Olimpici.
Sono state poche – e hanno fatto poco rumore – le prese di posizioni di questi ultimi mesi nei confronti della partecipazione alle Olimpiadi invernali 2022. Giappone, Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda non parteciperanno alla competizione sportiva e anche una parte del mondo arabo ha preso le distanze dall’evento. Il Global Imams Council, l’organizzazione non governativa che raccoglie i leader di fede musulmana di tutto il mondo, ha vietato la partecipazione all’evento a tutti i fedeli, riconoscendo come inconcepibile l’esistenza di un genocidio e l’inerzia delle comunità internazionale.
Sono più di vent’anni che, con la scusa del terrorismo islamico, la Cina tenta di liberarsi di un popolo che non è mai riuscita a tenere particolarmente a bada. Ma la storia degli Uiguri e della pulizia etnica che si sta tentando nei loro confronti non è affatto recente e ha radici nella prima metà del secolo scorso. L’attività indipendentista della popolazione che abita lo Xinjiang risale, infatti, al 1934, ma il genocidio culturale del governo cinese non fa che intensificarsi. Eppure, l’esistenza di veri e propri campi di concentramento ancora non ha convinto la comunità internazionale a prendere provvedimenti seri. Dopotutto, quando si parla di interessi economici e di potenze mondiali, non c’è genocidio che tenga. La rinuncia alle Olimpiadi è solo un piccolo passo, insignificante a confronto con ciò che gli Uiguri stanno vivendo.
Secondo i dati più attendibili, è dal 2014 che il governo di Pechino rinchiude gli Uiguri nei campi di rieducazione, arrivando a detenere più di un milione di persone. Si tratta di uomini e donne la cui unica colpa è quella di appartenere a una minoranza etnica e religiosa la cui identità culturale minaccia la potenza annientatrice della dittatura cinese. L’azione regolatrice del governo agisce attraverso indottrinamento politico, repressione delle pratiche culturali e religiose della popolazione, privazione del diritto alla proprietà privata e sterilizzazione e contraccezione forzate. Secondo quanto riportato dall’Associated Press, il tasso di natalità della popolazione è calato del 60% e si hanno prove di un vero e proprio programma per la sterilizzazione delle donne uigure o appartenenti ad altre minoranze. È il programma di chirurgia gratuita per la prevenzione del parto, che aveva l’obiettivo di operare un terzo delle donne in età fertile entro il 2019.
Quella della sterilizzazione è solo l’ultima delle strategie per l’eliminazione di tutte le etnie diverse dalla Han. Per anni, prima che questo metodo prevalesse, la Cina ha adoperato un programma di assimilazione forzata. Per eliminare le tracce delle minoranze sgradite erano promossi i matrimoni misti. I media agivano da intermediari, diffondendo storie esemplari di matrimoni interetnici, mentre il governo offriva ricompense in denaro alle coppie per alcuni anni dopo l’unione. L’obiettivo era evidentemente quello di diluire il sangue sgradito e assimilarlo lentamente ma definitivamente nell’etnia Han. Ma oltre al sangue, ciò che va rimosso, per la Cina, è anche l’orientamento religioso, con tutte le tradizioni a esso connesse, perché non possono che influenzare anche l’orientamento politico. Vengono infatti arrestate le persone musulmane che pregano regolarmente o che dimostrano in qualche modo di essere praticanti. I luoghi di detenzione si chiamano centri di apprendimento politico all’interno dei quali si indottrinano gli Uiguri perché si assimilino.
Davanti all’evidenza, la comunità internazionale per anni non è stata in grado di prendere posizioni nette nei confronti della Cina. Se da un lato il Paese rappresenta una fetta troppo grande del mercato globale, dall’altra è inconcepibile che gli altri Stati, consapevoli del genocidio culturale in atto, dei campi di detenzione e delle numerose violazioni dei diritti umani, non adoperino tutte le strategie di cui dispongono per porre fine a questo abominio. Rinunciare alle Olimpiadi – per i pochi Paesi che lo fanno – ma continuare a dialogare con la Cina non risolverà alcun problema e non porterà la comunità internazionale a interessarsi davvero alla sopravvivenza di un popolo lentamente, ma inevitabilmente, cancellato.