Anzacresa è un termine del dialetto potentino, nonché lucano in genere, seppur con lievi variazioni di pronuncia in base al luogo, con cui si vuol indicare qualcosa di accaduto all’improvviso.
Ed è proprio all’improvviso, infatti, che nacque quindici mesi fa il Centro Sociale Occupato Autogestito Anzacresa presso l’ex palazzo del CONI a Potenza, a seguito di un’azione di “esproprio proletario” lampo condotta e portata a termine da parte di un gruppo di studenti universitari e attivisti, tra cui organizzazioni antagoniste e di protesta, come ad esempio i NO TRIV, che non ci stavano e non ci stanno a far andare in malora la propria terra. Il tentativo consistette, non a caso, nel provare a rompere quella catena di eventi che vede il territorio lucano progressivamente mortificato nello sviluppo delle sue energie e vocazioni migliori da sempre, ma in particolar modo a partire dal lontano 1995, quando già Alberto Jacoviello, giornalista de la Repubblica e cittadino lucano di Lavello (PZ), sentenziava: Ogni volta che passo da San Nicola guardo con tremore e fascino lo stabilimento che cresce a vista d’occhio. E penso all’agricoltura che nella piana di San Nicola ha raggiunto livelli di grande competitività. Sarà distrutta o è possibile uno sviluppo compatibile?
La citata piana è tutt’oggi parte dell’attuale comprensorio del Comune di Melfi (PZ) e lo stabilimento in questione è quello della FIAT. Chi avrebbe mai potuto immaginare, allora, che il prezzo da pagare per tale “progresso” sarebbe stato così alto al punto da dover subire il ricatto dell’installazione permanente di un inceneritore chiamato Fenice, costruito tra l’altro dall’EDF (Électricité de France), con un conseguente, spaventoso aumento dell’incidenza tumorale in quell’area? E chi avrebbe mai potuto immaginare che allo stabilimento FIAT o, per meglio dire, SATA (Società Automobilistica Tecnologie Avanzate), oggi FCA, si sarebbe aggiunto di lì a qualche anno l’inizio dell’attività di pre-raffinazione del petrolio estratto in Val d’Agri, con l’installazione del famigerato Centro Oli di Viggiano (PZ) e la conseguente costruzione dell’oleodotto che avrebbe trasportato, e che trasporta, il greggio semilavorato in terra lucana presso le raffinerie dell’ILVA di Taranto? Tutto questo per raggiungere quali risultati? Forse l’apertura della regione a un turismo intelligente e ben pianificato? Capillare infrastrutturazione del territorio? La piena occupazione? Neanche per sogno.
I “successi” conseguiti fino a oggi, infatti, sono il totale annullamento del ruolo strategico una volta ricoperto dal comparto agro-forestale nell’ambito del bilancio regionale; l’inquinamento di aria e falde acquifere a cui la “scienza di Stato”, ovvero l’ARPAB (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Basilicata), non ha mai posto rimedio, in quanto i dati di qualunque tipo di analisi sono da sempre forniti direttamente da parte di EDF, che la relega a un ruolo di mera osservazione e monitoraggio; l’espulsione della popolazione più giovane e maggiormente qualificata dal territorio regionale verso il Nord Italia o il resto d’Europa, se non del mondo; infine, il consolidamento nelle posizioni di potere di tutti i mandanti politici dei succitati “successi”. Alcuni di essi sono oggi diventati persino sindaci dei Comuni tra quelli compromessi dal mancato sviluppo, continuando a far da “prestanome” politico per conto di altri grossi affari di carattere speculativo come quelli legati ad esempio all’installazione dei grandi parchi eolici, collocati lungo i crinali semi-desertici dell’Appennino Dauno e non solo.
Quando nel 2016 si costituì il CSOA ex CONI Anzacresa a Potenza, lo si fece, dunque, per provare a lanciare un urlo non di disperazione, ma di rivendicazione del diritto a poter abitare il proprio territorio in sicurezza, creando situazioni interessanti nel tentativo di sperimentare e diffondere modelli di attrattività socio-economica e non di repulsione, nonché di espulsione.
Notizia del 13 dicembre scorso è che, invece, lo Stato, all’anzacresa, all’improvviso, attraverso quello che di fatto si è configurato come un atto dovuto (nei confronti di chi?), ha provveduto, notte tempo, allo sgombero immediato dello stesso centro sociale. Ancora una volta, quindi, il filo sottile che avrebbe potuto legare istituzioni e corretta gestione del territorio si è spezzato. Eppure, il CSOA non ha rappresentato solo una voce di dissenso, bensì ha voluto provare a trasformare il disappunto in alternativa costruttiva, passando attraverso momenti di dibattito, di divertimento e soprattutto di partecipazione, sale di una democrazia che in Basilicata risulta essere ormai sospesa da decenni.
Diciamolo pure chiaramente: l’Anzacresa aveva cominciato a rappresentare una forma di scomoda rinascita della coscienza civile nell’animo di quella che è, in ogni società, la parte più combattiva di un popolo, ovvero i giovani, che avrebbero in tal modo potuto cominciare a considerare la funzione della politica come un servizio in nome e per conto di un interesse autenticamente generale e non come un “ufficio di collocamento” a buon mercato tramite cui compravendere voti in cambio di promesse occupazionali mai mantenute. Il tutto allo scopo di continuare a tenere in vita quel magnifico, schizofrenico paradosso culturale su cui si fonda la stessa vita (in)civile e apparentemente democratica del nostro Paese, dove un problema è risolvibile finché esiste, nell’ambito di territori che vanno ormai configurandosi sempre più come un autentico “Mezzogiorno d’Europa” ridotto a puro mercato di vendita semi-coloniale, tenuto “disciplinato” con misure di incorporamento “a titolo personale” degli elementi più attivi nel gruppo dirigente statale, con particolari privilegi giudiziari, burocratici, ecc. Così, lo strato sociale che avrebbe potuto e che, tutto sommato, ancora potrebbe organizzare l’endemico malcontento nazionale diventa invece lo strumento migliore per porre in essere le decisioni di una politica economica condotta in ambito sovranazionale in nome e per conto di interessi multinazionali da cui i territori e, dunque, la stessa democrazia sono letteralmente espulsi.
Ecco, così accade ancora oggi in Basilicata, dove tutto muta, nel bene e nel male, all’anzacresa, cosicché nessuno possa accorgersi mai di nulla, se non a giochi già fatti, allo scopo di non correre il fastidioso rischio di dover malauguratamente arrecare disturbo al sonno di una ragione che, però, non tarderà sicuramente a svegliarsi di nuovo, quando meno ce lo si aspetta.