L’annuale classifica de Il Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle città italiane, anche per lo scorso anno, ha visto Napoli al 98esimo posto, dopo aver perso ben otto posizioni. Peggiore la collocazione secondo il rapporto di ItaliaOggi, in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, che posiziona il capoluogo campano al 104esimo gradino. Al contrario, in questi giorni, il periodico statunitense TIME, tra le riviste più diffuse su scala globale, in un articolo a firma di Charlotte Maiorana ha inserito Napoli tra i migliori cinquanta luoghi al mondo da visitare nel 2023.
Un conto è visitare una città, un altro è viverci, si affrettano a dire i superficiali ed esperti commentatori da tastiera subito pronti all’autodifesa a oltranza o a una denigrazione di tutto anche per una sola buca fotografata e posta come trofeo sui social. A tal proposito, impossibile non ricordare i vari conta-buche che nel corso degli anni passati arrivarono perfino a costituire comitati e pagine volte ad attaccare unicamente la persona dell’ex Primo Cittadino, oggi scomparsi del tutto, come la stampa locale, piombati in un silenzio assordante. Ma questa è un’altra storia, triste e comunque reale.
Ciò che, però, stupisce del contenuto dell’articolo del TIME è che nell’elencazione degli elementi ritenuti positivi per visitare Napoli, oltre al patrimonio artistico e l’ottimo cibo, si pone in risalto l’energia che la città sprigiona. Certo, criteri e parametri totalmente diversi da quelli adottati per le classifiche redatte dai quotidiani citati ma elementi, quelli evidenziati dal periodico americano, che hanno una valenza fondamentale sia per i turisti che per chi vi risiede.
È un ragionamento non così distante da quella che fu la reazione dello scrittore Erri De Luca alla pubblicazione delle prime classifiche, commento che vale la pena ricordare: «Ignoro i criteri di valutazione ma dubito che siano adeguati allo scopo. C’è qualità di vita in una città che vive anche di notte, con bar, negozi, locali aperti e frequentati, a differenza di molte città che alle nove di sera sono deserte senza coprifuoco. Considero qualità della vita poter mangiare ovunque cose squisite e semplici a prezzi bassi, che altrove sarebbero irreali. Considero qualità della vita il mare che si aggira nella stanza del golfo tra Capri, Sorrento e Posillipo. Considero qualità della vita il vento che spazza il golfo dai quattro punti cardinali e fa l’aria leggera. Considero qualità della vita l’eccellenza del caffè napoletano e della pizza. Considero qualità di vita la cortesia e il sorriso entrando in un negozio, la musica per strada. Considero qualità della vita la storia che affiora dappertutto. Considero qualità della vita la geografia che consola a prima vista, e considero qualità della vita l’ironia diffusa che permette di accogliere queste graduatorie con un “Ma faciteme ’o piacere”. Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare».
Tutto questo non intende assolvere la città paragonandola a un centro svizzero o del Nord Europa, ma l’eccesso di autocritica e autoflagellazione degli stessi abitanti di Napoli, di critica spietata a comando a seconda di chi ha maggiori responsabilità nel governo cittadino, l’insopportabile teatrino di antipatia e simpatia, di maggiori convenienze sul piano personale per taluni, di mani libere per altri con l’Amministrazione di turno, non rendono alcun buon servigio alla comunità in un dibattito che varrebbe la pena affrontare con serenità e responsabilità.
La città partenopea vive dal 2011 un boom turistico senza precedenti, trasformatasi da città di passaggio per la costiera e le isole a meta di principale attrazione che a oggi fa registrare il tutto esaurito per quasi dodici mesi l’anno. Diretta conseguenza sono l’aumento esponenziale di strutture ricettive come b&b, ristoranti, trattorie, bar e ritrovi sorti ovunque, forse troppi ma sempre tutti pieni; i tanto malfamati Quartieri Spagnoli, meta fino alla fine degli anni Sessanta di truppe americane provenienti dalle portaerei in sosta nel Golfo in cerca di svago nei casini improvvisati nei terranei di via Speranzella e vico Lungo Gelso, oggi trasformati in caratteristiche locande e trattorie. Interi yratti di strade chiusi al traffico, pieni di visitatori che fino a qualche decennio fa osservavano, fotografando, i vicoli dalla via Toledo senza avventurarsi per timore di avventure poco piacevoli e oggi stracolmi fino all’inverosimile. Un miracolo improvviso? Anche qui i conta-buche di ieri gridano alla casualità, ma vivono di rendita il presente.
Ciò che conta sono i dati: l’Aeroporto di Capodichino lo scorso anno ha registrato la maggiore crescita della categoria con 11 milioni di passeggeri; la società che gestisce la Stazione Marittima nel 2019 ha registrato 456 attracchi di navi da crociera per un totale di 1,36 milioni di passeggeri, il 28% in più rispetto all’anno precedente e il dopo pandemia già sta riproducendo dati più che soddisfacenti tornando a quelli di quattro anni fa.
Ha ragione il mio amico Pierluigi, vissuto lunghi anni a Napoli e poi trasferitosi nel padovano, quando mi ripete a ogni occasione: Napoli si porta, è di moda. Tanti sono i veneti che viaggiano in direzione di questa città per le vacanze o il fine settimana. Negli anni vissuti in Veneto mi colpiva apprendere quali fossero le mete di viaggio preferite, quasi sempre Cuba, Kenia e Repubblica Dominicana all’estero e non oltre Firenze in Italia. Roma o Napoli zero assoluto. Un dato completamente ribaltato dal 2015/16.
Napoli si porta anche al cinema, con centinaia di film girati negli ultimi otto anni e decine di serie televisive di successo ambientate in città. Una città come un set, che hanno contribuito alla riscoperta di quella oggi consigliata tra le cinquanta mete al mondo da visitare.
Un fenomeno transitorio o il recupero dell’immagine sul piano nazionale e internazionale, conquistato grazie a un’attenzione maggiore al patrimonio artistico, culturale e alla scomparsa delle montagne di rifiuti che lambivano i primi piani dei fabbricati di tutta la città che hanno fatto il giro del mondo? La memoria corta, lunga o labile che sia darà necessariamente risposte adeguate a un’evidenza impossibile da nascondere, una vergogna perpetratasi per troppo tempo nell’indifferenza e nell’incapacità di chi aveva la responsabilità di governo.
Un turismo che, tuttavia, sta cambiando non solo a Napoli ma in tutte le città tra le prime mete dei viaggiatori, con quartieri sacrificati ai residenti storici per essere trasformati in luoghi di interesse mirato al consumo, così anche locali di antiche botteghe artigiane e piccoli negozi tipici. Boom di visitatori che è sì fonte di reddito, di occupazione per tanti lavoratori in un’epoca segnata anche dal disastro pandemia, ma che esige maggiore riflessione sul futuro delle città che hanno il dovere di preservare la propria identità, pur tenendo conto delle mutazioni in atto, dei flussi che esigono, nel caso della nostra Napoli, una consapevolezza del valore effettivo di quegli elementi ben descritti da Erri De Luca e non ultima anche quella energia che la città sprigiona, a beneficio degli stessi abitanti e di quanti amano soprattutto farsi travolgere anche da quel caos positivo e dalla storia millenaria di Partenope.