Le donne nascono due volte: quando vengono al mondo e quando si raccontano. E ogni racconto va vissuto come la testimonianza preziosa di un percorso di consapevolezza e di riconoscimento. Mariangela Cioria e Maria Paglia, nel libro Tu s’ femm’na’! L’Irpinia delle donne, hanno raccolto le testimonianze autobiografiche di molte irpine. L’introduzione è di Luisella Battaglia, ordinaria di filosofia morale nelle università di Genova e Suor Orsola Benincasa di Napoli. La premessa è curata da Maria Raffaella Calabese de Feo, presidente dell’Associazione IrpiniaMia. La postfazione è di Silvia Scola, regista, scrittrice e sceneggiatrice, figlia del grande regista Ettore Scola, nato a Trevico. Un libro fortemente voluto da tutte loro.
Le curatrici riportano, con una trascrizione attenta che offre ampio spazio al dialetto e alle tradizioni locali, le memorie private di una quarantina di donne dell’alta Irpinia, evidenziando così i contenuti e le forme di un processo formativo e educativo di coloro che sono nate nelle zone interne della Campania all’inizio del secolo. Una generazione che rappresenta il vissuto delle nostre antenate, nei borghi bellissimi e isolati dell’Appennino.
Nell’ascoltare dal vivo le storie raccolte nel libro ho provato un’emozione fortissima perché queste donne mi facevano entrare nel loro intimo. Non nascondo che molte volte ho dovuto trattenere le lacrime. Questo libro è un regalo che faccio a loro, al coraggio e alla tenacia che hanno avuto, sottolinea Mariangela Cioria.
Tante sono le domande che suscita la lettura di questo testo. Domande che richiedono un grosso lavoro di interpretazione politica, sociale e antropologica. Cosa ha significato nascere donna all’inizio del Novecento in un paese di montagna, con una forte tradizione contadina e cattolica? Cosa ha determinato di radicale e immutabile nelle scelte di queste donne destinate ai campi e alle famiglie? Cosa hanno lasciato come eredità morale, quali insegnamenti, alle loro figlie e alle loro nipoti? Quali sono le ingiunzioni che hanno drammaticamente messo a tacere il vento di liberazione e di consapevolezza dei propri diritti legati alla rivoluzione femminista? Cosa è arrivato di quell’inquietudine critica al patriarcato capitalista che agitava le masse giovanili nel 1968, e i movimenti politici di protesta del 1977?
In quegli anni cosa hanno capito gli uomini e come hanno sostenuto le loro mogli, le loro sorelle e le loro madri nel tentativo disperato di credere e di investire in un progetto di vita che andasse oltre i figli, il lavoro in casa e nei campi? Hanno aiutato le proprie donne a far emergere i loro talenti, la loro intelligenza, la loro creatività?
Il sistema patriarcale da sempre educa alla sottomissione in un modo così profondo che le donne stesse distruggono il loro desiderio vitale di libertà e di espressione, giustificando nella mistificante ideologia del matricentrismo ogni negazione della spinta all’autorealizzazione, che invece si permette ai maschi. E gli uomini più o meno consenzienti diventano complici di questo brutale servaggio, utile al mantenimento effettivo del sistema sociale esistente.
Le donne passano questa educazione alle figlie e le figlie alle nipoti. Solo un processo di autoconsapevolezza di tale mutilazione sociale e psicologica può spezzare il copione socio-familiare della servitù delle donne. Il concetto di corresponsabilità familiare, di pari opportunità nel progetto di vita delle persone, deve ancora radicarsi tra i paesi isolati delle montagne appenniniche, come in alcune aree metropolitane.
Dalle testimonianze raccolte è palese come il coraggio e la determinazione, l’attaccamento alle tradizioni contadine, l’impegno nei campi e in casa avessero come collante esistenziale due ingredienti fondamentali: la valorizzazione del ruolo sacrificale e oblativo delle donne sin dalla tenera età e il senso di colpa che spezza le gambe a ogni desiderio di realizzazione personale. Le bambine venivano educate alla totale obbedienza al padre padrone e poi da donne giovani e destinate al matrimonio ripetevano lo stesso schema comportamentale con il marito e di conseguenza diventavano asservite ai bisogni familiari fino alla fine dei loro giorni.
Dichiara Maria Paglia: Ho appreso tanto da questa esperienza. Conoscevo alcune storie, ma sentirle raccontare dalle donne stesse è stata per me un’esperienza profonda. Vorrei sintetizzare questa loro vita così tribolata con una parola, “standata”, che rappresenta la fatica del vivere ma anche un traguardo raggiunto.
Ogni altro desiderio di libertà e di emancipazione veniva letto come simbolo di un comportamento trasgressivo e per questo condannabile dalla comunità rurale. Tu sei femmina e quindi stai zitta e devi insegnare alle giovani a fare ugualmente. Non desiderare di conoscere il tuo talento, non è necessario studiare, non serve lavorare fuori casa. Tu sei femmina e quindi sei solo uno strumento di un sistema arcaico che non si può cambiare. Non ti è permesso avere ambizioni culturali, artistiche e professionali. Sei femmina e quindi nasci come ingranaggio passivo di una macchina comandata da un maschio.
L’indignazione che ho provato leggendo questi racconti è stata terribile. Ho rivisto le donne della mia famiglia, vissute in una città devastata come Napoli, anche loro soggette alla sudditanza psicologica dai propri mariti. Eppure ho sentito la differenza: in questi paesi di montagna il laccio intorno alle caviglie e ai polsi era ancora più forte, più profondo. Un’educazione che non ammetteva comportamenti deviati dalla regola patriarcale misogina e maschilista. Una regola che non ammetteva assolutamente eccezioni, pena la vergogna e l’isolamento dalla comunità.
Tu sei femmina e non devi sentire ed esprimere i tuoi desideri, ma servire la famiglia e asservirti ai bisogni degli altri, fino a dimenticare te stessa. Tu sei femmina e prendi nutrimento dal ruolo di madre e di moglie, impara a essere soddisfatta del tuo essere indispensabile per l’economia contadina e familiare, a cui devi piegare ogni tua volontà individuale. Tu sei femmina e allora devi stare un passo indietro a tuo padre, a tuo fratello, a tuo marito. Se vai contro questa legge diventi pericolosa e sovversiva. Questi sono i diktat più o meno espliciti nelle memorie delle donne che hanno raccontato con passione e fierezza il loro eroico abito di angelo del focolare.
Mariangela Cioria e Maria Paglia hanno voluto ricordare il vissuto di tante, un patrimonio di oralità che è stato registrato con grande rispetto, un vero archivio della memoria che immortala il loro territorio di appartenenza. L’Irpinia è una regione storica della Campania con una forte vocazione alla conservazione della propria identità e in questo libro c’è la fotografia reale di un’epoca. Un libro corale di voci di donne che unisce i ricordi e le riflessioni di tre generazioni.
Donne semplici. Donne contadine, sarte, casalinghe, qualche insegnante, raccontano di una realtà socio-ambientale difficile e povera, fatta di sacrifici. Donne che hanno attraversato il dramma dell’emigrazione, che spesso però ha garantito, malgrado il dolore della separazione dalle proprie radici, una forma di emancipazione. Donne che hanno obbedito a un sistema patriarcale ancestrale, che le ha tenute in uno stato di totale sottomissione.
Il volume si conclude con una serie di riflessioni da parte di giovani irpine e campane che ragionano e si interrogano sul patrimonio di tradizioni che hanno ereditato, sull’educazione castrante che hanno dovuto superare per farsi strada nella vita, sulle difficoltà che hanno incontrato emigrando al Nord per studiare e trovare lavoro e sul disagio poi da attraversare quando si rimane e si ritorna nel paese di origine. L’emigrazione intellettuale delle nuove generazioni e il fenomeno della restanza potrebbe essere la seconda linea di indagine di questa ricerca appassionata, assolutamente da leggere e da utilizzare come occasione di confronto intergenerazionale.