Donald Trump, neoeletto al suo secondo mandato come Presidente degli Stati Uniti, è al centro di numerose controversie che hanno coinvolto la comunità scientifica. Questo risultato elettorale quanto andrà a incidere sulle politiche basate sulle evidenze? Per rispondere alla domanda vorrei ripercorrere alcuni dei momenti in cui l’atteggiamento di Trump si è dimostrato scettico e, sotto alcuni aspetti, ambiguo nei confronti della scienza.
Una delle posizioni più famose di The Donald è quella sui cambiamenti climatici. Prima della sua elezione, ha definito il riscaldamento globale una “bufala” inventata dalla Cina per indebolire l’economia americana. Durante la sua presidenza, nel 2017, si è ritirato dall’Accordo di Parigi (e, da quanto si anticipa, lo rifarà nuovamente), sostenendo che le regolamentazioni ambientali avrebbero danneggiato l’economia statunitense. Questa decisione ha ignorato il consenso della comunità scientifica riguardo all’urgenza di affrontare il riscaldamento globale per evitare catastrofi ambientali.
Donald Trump ha messo a capo della EPA, Enviromental Protection Agency, Scott Pruitt, noto per la vicinanza alle industrie petrolifere e la sua opposizione alle normative ambientali stringenti. Sotto la sua amministrazione, l’EPA ha indebolito o eliminato oltre cento regolamentazioni ambientali, inclusi i limiti sulle emissioni di metano, a scapito della salute pubblica e della lotta contro l’inquinamento. Sempre durante il suo mandato, Trump ha frequentemente contestato i rapporti del National Climate Assessment definendoli “esagerati”. Questo atteggiamento si è riflesso nella sua scelta di non ascoltare i consigli di esperti e scienziati per la realizzazione di politiche energetiche e ambientali. La scelta è sempre stata quella di preferire la tutela degli interessi dell’industria del carbone e del petrolio.
Arriviamo alla gestione della pandemia che è stata uno dei momenti più critici della presidenza Trump. In numerose occasioni, l’ex Presidente ha minimizzato la gravità del virus, suggerendo che fosse simile all’influenza stagionale. Ha promosso, inoltre, terapie non provate scientificamente come l’uso di idrossiclorochina. Sappiamo che il farmaco può rivelarsi anche molto dannoso.
Donald Trump, dopotutto, è la stessa persona che durante una conferenza stampa ha suggerito di iniettarsi il disinfettante per curare la Covid-19. Una dichiarazione che ha suscitato sdegno tra esperti e autorità sanitarie: «Vedo che il disinfettante lo elimina in un minuto. Un minuto. C’è un modo di fare qualcosa del genere con un’iniezione all’interno? Sarebbe interessante verificare». Queste le parole del Tycoon che hanno costretto le agenzie sanitarie, incluse la FDA e il CDC, a intervenire. Nonostante le smentite ufficiali, si è registrato un aumento di casi di intossicazione da disinfettanti negli USA. Centri antiveleni, in vari Stati, hanno riportato un incremento di chiamate di emergenza per esposizione a sostanze come candeggina poco dopo il commento di Trump.
Sebbene non sia confermato che qualcuno abbia effettivamente “iniettato” disinfettanti a seguito di quelle dichiarazioni, il solo aumento delle chiamate ai centri antiveleni ha dimostrato l’impatto negativo di affermazioni di questo tipo. Informazioni che hanno contribuito a diffondere confusione e idee pericolose sulla prevenzione della Covid-19.
Sempre per restare in tema “complottismo”, già prima di entrare in politica, Donald Trump ha sostenuto in un tweet una correlazione tra vaccini e autismo. Una teoria più volte smentita dalla comunità scientifica. Sebbene durante la sua presidenza abbia promosso lo sviluppo del vaccino anti-Sars-Cov2 attraverso il programma Operation Warp Speed, le sue dichiarazioni precedenti hanno contribuito alla disinformazione sul tema.
Durante il suo primo mandato, Trump ha proposto tagli ai finanziamenti per agenzie scientifiche come la National Institutes of Health (NIH) e la National Science Foundation (NSF). Anche se molti di questi tagli non sono stati approvati dal Congresso, il secondo mandato potrebbe vedere nuove proposte di riduzione dei fondi per la ricerca. Gli interventi sono marginalizzanti verso gli ultimi anche dal punto di vista della tutela della salute.
L’Obamacare (o Affordable Care Act) prevedeva un “mandato individuale” che richiedeva a tutti gli americani di avere un’assicurazione sanitaria, pena una sanzione fiscale. L’obbligo era essenziale per il suo funzionamento. Questo incentivava anche i più giovani e i sani a partecipare al sistema, bilanciando i costi per gli individui più anziani o malati. Nel 2017, tramite il Tax Cuts and Jobs Act, Trump ha eliminato l’obbligo individuale, riducendo la sanzione a zero. Questa mossa ha indebolito l’Obamacare perché ha spinto alcuni americani a rinunciare all’assicurazione. Di conseguenza si è ridotto il numero di persone nel pool di assicurati e sono aumentati i costi per chi restava coperto.
È ciclico ormai constatare quanto le crisi spingano le persone verso la ricerca dell’“uomo forte” per avere l’idea di una maggiore sicurezza. Per affrontare con successo le sfide globali come la salute pubblica e il cambiamento climatico è invece fondamentale il ruolo della comunità scientifica che, a mio modesto parere, non ha nulla da festeggiare per questa vittoria.