Questa volta Nanni Moretti si è spostato. Anzi, non solo questa volta. La sua ultima fatica, però, rappresenta la sconfessione di quello che Mario Monicelli disse di lui ormai quarantaquattro anni fa: «Nanni, spostati e facci vedere il film». Quell’affermazione indicava la tendenza del regista romano di porsi al centro delle proprie pellicole, mettendo da parte ciò che ci girava attorno. E, in effetti, già in Habebus Papam, Mia Madre e in Santiago, Italia, Moretti aveva dato una prospettiva diversa, focalizzandosi su grandi temi sociali che toccano la sfera interna dell’uomo, come il rapporto con l’aldilà o la vicinanza a chi è in prossimità della morte.
In Tre piani, però, riesce di nuovo – ma questa volta senza volerlo – ad anticipare il futuro, profetizzando gli eventi. Il film, infatti, per gran parte si sviluppa in un condominio con tre famiglie che affrontano i propri traumi, le proprie paure e debolezze tra le mura delle loro abitazioni, esattamente come accaduto durante il lockdown dello scorso anno. La pellicola, pronta per uscire prima di marzo 2020 ma poi posticipata per esigenze cinematografiche, plastifica così l’insicurezza di tanti che, anziché trovare rifugio nella propria dimora, vivono con essa un rapporto di conflittualità.
Conflittualità che il regista di Ecce Bombo ha rappresentato già in quei suoi film che ben hanno rivelato la direzione in cui si stava andando. Lo ha fatto in Palombella Rossa, dove interpreta una persona molto vicina al se stesso degli anni Ottanta, un comunista che non comprende le scelte globali della sua parte – e poco dopo, infatti, cade il Muro di Berlino – e lo ha fatto in Habemus Papam, dove la stessa conflittualità, questa volta religiosa, è il tema intorno al quale ruota l’intera vicenda: un cardinale appena eletto pontefice scappa da questa investitura e decide di dimettersi, poco prima delle effettive dimissioni di Papa Benedetto XVI. E, poi, la conflittualità de Il Caimano, in cui si palesa la spaccatura del Paese nei confronti di Berlusconi che finisce per essere condannato pochi anni prima della vera condanna per frode fiscale.
Nell’ultimo capolavoro di Nanni Moretti, però, la dimensione sociale ha a che fare non con una dimensione collettiva, bensì con la sfera umana, con il singolo, con ciò che si ha nelle vicinanze: la casa, la famiglia, il lavoro e l’intersecarsi di questi tre elementi. E sono proprio loro, ancora una volta, a generare un conflitto tra chi l’ambiente casa lo popola e chi in quell’ambiente trasporta la propria etica professionale.
La causa di tutto ciò può essere la rabbia nei confronti di un figlio che, guidando in stato di ebbrezza, ha investito e ucciso una donna, come può essere l’apprensione che la propria figlia, lasciata momentaneamente nell’abitazione del vicino di casa e ritrovata con lui in un bosco, possa essere stuprata. O, ancora, può essere la paura di crescere due figli da sola non smettendo di credere al marito che promette di tornare presto dalle infinite trasferte. Tutte queste storie, questi tre piani, appunto, trovano il proprio fondamento nell’impossibilità, per ognuno dei protagonisti – anche per chi prova a fuggirvi –, di risolvere questi conflitti al di fuori della propria casa.
E a questo tema Moretti ne affianca un altro, cardine del film: il ricatto, che non si esprime in parole, non si esprime nei confronti dell’altro, ma si consuma dentro il personaggio, di fronte a scelte necessarie da prendere per tutelare tanto se stessi quanto chi si deve proteggere. È, dunque, un ricatto interiore, di nuovo un conflitto con il proprio io: preservare la carriera da affermato magistrato o evitare il carcere al proprio figlio? Essere fedeli o tradire la propria moglie con chi potrebbe darci informazioni utili su un pomeriggio passato da nostra figlia con il dirimpettaio? Confessare al marito di aver visto suo fratello, che lui odia, perché ci fa sentire meno soli, dandoci un’idea di protezione o tenerlo per sé?
Ecco, questi aspetti, in modo diverso ma trasversale, potrebbero riguardare ogni casa, ogni contesto familiare e portano lo spettatore a interrogarsi su come possano scaturire determinate dinamiche, da dove derivino e in che modo riverberino i propri effetti sui figli – vedi l’apprensione o l’eccessiva pressione che si individuano in Tre piani. Insomma, Nanni Moretti, insieme a tutto il suo cast, ha nuovamente saputo portare sul grande schermo uno dei luoghi di conflitto più oscuro: la famiglia.