C’era una volta un ragazzino giapponese con la passione per l’animazione e gli aerei. La guerra li rendeva strumenti di morte ma per lui rappresentavano il volo, inteso come libertà infinita. Quel bambino si chiamava Hayao Miyazaki e non sapeva ancora che sarebbe diventato uno dei più grandi animatori della storia del cinema.
Regista, sceneggiatore, produttore, fumettista, Miyazaki è considerato il Walt Disney giapponese, fondatore dello Studio Ghibli che ha sfornato alcuni dei più celebri lungometraggi d’animazione. Questo mese ha compiuto la bellezza di 80 anni ma il regalo l’ha fatto lui a tutti. È nota, infatti, la sua abitudine di annunciare il proprio ritiro per poi tornare con una nuova idea nel cassetto, ennesimo capolavoro, e stavolta non è da meno. Il progetto si chiama How do you live? e ha già creato un hype altissimo tra il pubblico. Parliamo di un uomo, un artista, che ha reso la sua stessa vita una storia straordinaria, lodato nientemeno che da Akira Kurosawa in persona. Un uomo, un artista, che ha contribuito a sdoganare il cinema d’animazione giapponese inteso da sempre come una realtà inferiore rispetto a quello occidentale, ottenendo numerosi noti riconoscimenti. E che ha fatto sognare il mondo intero.
Come dicevamo, nella sua giovinezza Miyazaki ebbe spesso a che fare con gli aerei poiché la famiglia possedeva un’azienda produttrice di componenti per velivoli. Uno di questi era il Caproni Ca.309, soprannominato il Ghibli. Vi suggerisce qualcosa? Fu quando rimase colpito da un film d’animazione del 1958, La leggenda del serpente bianco, però, che Hayao decise di diventare un animatore e iniziò a lavorare per la Toei Animation, dove conobbe Isao Takahata. Dopo essersi occupato di episodi di anime come Heidi o Anna dai capelli rossi, nel 1979 arrivò il suo primo lungometraggio: Lupin III – Il castello di Cagliostro. Il suo talento cominciava a fiorire. Propose quindi una nuova storia, Nausicaä della valle del vento, basata su un manga da lui stesso disegnato. Ebbe successo. Ma sebbene l’America avesse deciso di distribuirlo, furono attuati così tanti tagli e modifiche che il prodotto finale risultò totalmente stravolto.
E poi il 1985, l’anno della svolta: Miyazaki, Takahata e il produttore Toshio Suzuki avevano bisogno di un posto tutto loro dove poter esprimere liberamente ogni idea e fondarono lo Studio Ghibli. Il primo film prodotto fu Laputa – Castello nel cielo, seguito da Il mio vicino Totoro e Una tomba per le lucciole, questi ultimi due divenuti negli anni dei veri e propri cult, tanto da scegliere il personaggio di Totoro come logo della casa di produzione. Iniziavano anche a essere sempre più palesi i temi cardine cari a Miyazaki, come piccoli protagonisti, creature e mondi fantastici, critica alla guerra, rapporto uomo-natura e ambientalismo.
Il successo giunse con Kiki – Consegne a domicilio, del 1989, storia di una giovane strega alle prese con la propria indipendenza. Il film sbancò al botteghino e permise così contratti a tempo pieno per gli animatori, formazione e nuove assunzioni. A inizio anni Novanta, Miyazaki concluse un progetto che metteva insieme due tra le sue maggiori passioni: l’aviazione e l’Italia. Ecco Porco Rosso, ambientato nella Penisola al tempo della Seconda Guerra Mondiale. Vista la sua avversione per il fascismo, alla domanda sul perché il protagonista fosse un maiale, rispose: «Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale».
Nel frattempo, però, maturava in lui l’idea di farsi da parte e lasciare spazio ai giovani registi cresciuti in studio – ad esempio Yoshifumi Kondō, che diresse I sospiri del mio cuore ma che purtroppo morì prematuramente. Il suo saluto doveva essere lei, Princess Mononoke, pellicola che fece record d’incassi e ottenne svariati premi. Narrava, in forma di mito, il rapporto conflittuale tra uomo e natura, specialmente nel momento in cui l’uomo ha spezzato l’antica sintonia tra tutte le creature, ergendosi a essere superiore. Un film dai toni più seri e mistici e scene parecchio crude. Negli Stati Uniti dovette fare i conti con Harvey Weinstein e la sua volontà di rimaneggiare l’opera, così Miyazaki gli fece recapitare un pacco contenente una katana e la scritta NO CUTS, niente tagli. Alla fine, Princess Mononoke fu distribuito senza censure (non si può dire lo stesso in Italia).
E, finalmente, iniziò la pensione del nostro Miyazaki. Fino al 2001. Di colpo tornò agguerrito, aveva avuto una grandiosa idea: la storia di una bambina che compie un viaggio in un’assurda città abitata da spiriti. Nasceva La città incantata. Il film – ispirato al romanzo Il meraviglioso paese oltre la nebbia di Sachiko Kashiwaba – è considerato il capolavoro dello Studio Ghibli, unico anime nella storia a vincere l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e l’Oscar per miglior film d’animazione nel 2003, premio non ritirato personalmente per protesta contro la guerra in Iraq. Visto l’enorme successo, si decise di portare in Italia anche tutti i suoi lungometraggi precedenti, consacrando l’autore come maestro indiscusso dell’animazione anche in Occidente. Il mito Miyazaki non aveva più confini.
Nel 2004 venne presentato alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia Il castello errante di Howl, altro gioiello che sbancò, tratto dall’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones. Un’ambientazione steampunk per una favola moderna con protagonista Sophie, ragazza trasformata da una strega in un’anziana donna. Ad aiutarla, l’affascinante Howl, l’unico mago a non aver aderito alla guerra in corso. Il tutto accompagnato dalla toccante colonna sonora dello storico compositore Ghibli Joe Hisaishi. I continui successi valsero a Miyazaki il Leone d’Oro alla carriera nel 2005, un Oscar onorario e persino un Museo Ghibli, a Misaka.
Dopo aver iniziato all’animazione anche suo figlio Gorō (I racconti di Terramare e La collina dei papaveri), Miyazaki presentò nel 2013, a Venezia, Si alza il vento, quello che doveva essere – di nuovo – il suo ultimo film. Una biografia romanzata dell’ingegnere aeronautico Jirō Horikoshi, oltre che un omaggio all’aviatore e ingegnere italiano Giovanni Battista Caproni. Più concreto e toccante – era in un certo senso anche la sua storia –, venne candidato agli Oscar 2014, perdendo contro Frozen. Fu durante una delle conferenze stampa che il regista annunciò ufficialmente il suo ritiro. «Sarò breve» disse commosso. «Ho annunciato più e più volte che mi sarei ritirato, quindi penserete che questa sia una di quelle volte. Ma vi assicuro che adesso faccio sul serio».
Un momento straziante per tutti… Se non fosse che Miyazaki è tornato! Nell’augurare un buon 2021, lo Studio Ghibli ha pubblicato sul sito un suo disegno raffigurante un bue che schiaccia il coronavirus e ha confermato la lavorazione del nuovo lungometraggio How do you live? – italianizzato in E voi come vivrete? – dal romanzo omonimo di Genzaburō Yoshino. Miyazaki l’ha dedicato a suo nipote poiché il nonno se ne andrà presto all’altro mondo, ma sta lasciando questo film dietro di sé perché ti ama. Temendo appunto di non vederlo realizzato a causa dell’età e dei tempi di produzione, si sta concentrando unicamente sullo storyboard.
Non sappiamo, a questo punto, se credergli o meno, ma di una cosa siamo certi: comunque vada, Hayao Miyazaki continua a essere uno dei maggiori artisti cinematografici di tutti i tempi, poeta dell’animazione, fautore di sogni a occhi aperti.
Dietro quello sguardo visionario e il sorriso gentile, ci sono storie che hanno saputo sbalordire e far riflettere. Storie con predominanza di protagoniste e personaggi femminili forti, contro i comuni ruoli di genere. Ci sono critiche aspre contro la guerra in Princess Mononoke e ne Il castello errante di Howl, contro l’inquinamento nel dolcissimo Ponyo sulla scogliera. Miyazaki ha difeso la natura ne Il mio vicino Totoro – e nella quasi totalità delle sue opere – e affrontato il complicato passaggio da infanzia a età adulta ne La città incantata. Ha spiccato il volo in Porco Rosso e Si alza il vento. Perciò grazie, Miyazaki, grazie per tornare ogni volta con un nuovo incredibile sogno.