La storia è sempre la stessa. Manifestare, per i lavoratori, è diventato sempre più pericoloso. Ce lo dimostra quanto avvenuto pochi giorni fa davanti ai magazzini della Zampieri di Tavezzano (Lodi) ai dipendenti della TNT FedEx, in protesta dopo la chiusura di una ditta della logistica di Piacenza. L’impianto, infatti, è stato trasferito senza la possibilità di ricollocamento di ben 280 persone, le quali – stando alle prime ricostruzioni – sono state anche vittime di un’aggressione da parte di vigilantes privati assoldati dalla stessa azienda e autorizzati a utilizzare le “maniere forti”.
Quello di Tavezzano è, tuttavia, solo l’ennesimo episodio: avvenimenti come questi si sono moltiplicati negli anni e in alcune ipotesi sono state le stesse forze dell’ordine a esercitare brutali violenze a danno dei manifestanti. Ricordiamo quanto avvenuto solo pochi mesi fa agli operai pakistani e bengalesi della Textprint di Prato, strattonati e ammanettati mentre erano impegnati in un sit-in pacifico per ottenere il rispetto del contratto nazionale del settore di competenza.
Il sindacato Si Cobas – che ha indetto una manifestazione nazionale per il 19 giugno a Roma – e i testimoni presenti a Lodi hanno parlato di un’aggressione durata più di dieci minuti, durante i quali le forze dell’ordine in loco non sono intervenute, lasciando così che i vigilantes, armati di bastoni, pezzi di bancali e sassi, agissero indisturbati. Ci sono stati almeno nove feriti, di cui uno, Abdelhamid Elazab, è stato ricoverato in condizioni abbastanza gravi e poi dimesso con una prognosi di quindici giorni. Pur avendo la vicenda suscitato una certa indignazione tra l’opinione pubblica, non siamo certi che stavolta cambierà davvero qualcosa.
Quanto avvenuto intreccia innumerevoli temi su cui poter ragionare: innanzitutto, è palese la tensione sociale in cui viviamo, causata dalla precarietà e dall’instabilità che caratterizzano il mondo del lavoro e acuitesi con la crisi economica successiva all’inizio della pandemia. Una tale insoddisfazione e un tale senso di ingiustizia, inoltre, non possono che sfociare in scontri continui ai quali le forze politiche che si sono succedute non hanno saputo porre alcun freno, ma rispondere esclusivamente con la repressione e la violenza. Così, anche le proteste pacifiche e i picchetti degli operai diventano luoghi di violenza arbitraria e ingiustificata. E a mano a mano che gli anni passano, il lavoro diventa sempre più flessibile, sempre più precario, sempre più mortificante per chi non vede riconosciuta la propria prestazione in modo dignitoso, a tutto vantaggio di imprenditori senza scrupoli.
Altra riflessione che sorge immediata riguarda il pericolo che la situazione non possa che peggiorare con lo sblocco dei licenziamenti previsto per il prossimo mese. La fetta di popolazione povera o a rischio povertà cresce ogni giorno e il divario di disuguaglianze che separa la piccolissima percentuale di persone più ricche dalle più povere diventa sempre più ampio e difficile da colmare, se non agendo alla base di tali discrepanze del sistema socio-economico, cosa che a quanto pare le nostre forze politiche non sono affatto intenzionate a fare, proseguendo nella narrazione di giovani sfaccendati che rifiutano di lavorare da un lato e, dall’altro, continuando a elargire benefici e modi per aggirare la legge alle imprese. In questo modo, moltissimi organismi, come le false cooperative dietro cui si celano vere e proprie aziende di logistica, approfittano della scarna disciplina, della sua vaghezza e dell’ampio margine di discrezionalità, volontariamente lasciato, per sfruttare i lavoratori con contratti non veritieri e mortificanti.
Scioperare è un diritto sancito dalla nostra Costituzione, eppure è diventato sempre più difficile esercitarlo senza correre il rischio di subire violenze e ripercussioni. Pari diritto è quello al lavoro, per nulla garantito in un Paese in cui la migliore idea che viene al Ministro della Pubblica Amministrazione è assumere personale selezionandolo sulla base dei soli titoli, a tutto vantaggio di chi ha esperienze lavorative pregresse, la possibilità economica per proseguire gli studi a lungo o, perché no, per inserirsi all’interno del losco mondo dei venditori di certificazioni tutto all’italiana. Diritti non garantiti in un contesto in cui i nostri Ministri si indignano perché i giovani non accettano di essere sottopagati e umiliati.
L’attenzione su questi temi è ancora molto bassa e l’informazione su quanto accade realmente nei luoghi di lavoro resta inesistente. Se l’unico strumento che la politica pensa di avere a disposizione è la repressione, allora nessuno può dirsi degno del futuro che lascia ai giovani, non solo precario, ma soprattutto ingiusto.