«L’idea di TheBorderline era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano». Con queste parole, il gruppo di youtuber che, la scorsa settimana, ha provocato l’incidente tra la propria auto a noleggio (un SUV Lamborghini) e la Smart a bordo della quale viaggiava il piccolo Manuel Proietti – che ha perso la vita a seguito dello schianto – ha comunicato ai propri followers l’interruzione della sua attività.
Internet e, ancor più, i social network sono macchine potentissime e, come tali, possono rappresentare qualcosa di straordinario o di straordinariamente pericoloso. Dipende dalla mente di chi li adopera. Il mondo contemporaneo è tutt’uno con questi strumenti, al punto che non ha forse più senso parlare di vita reale e virtuale. Le due dimensioni sono, ormai, collegate, non c’è quotidianità che esista fuori dallo schermo, che non sviluppi una parte della sua esistenza nel metaverso.
I bambini accedono ai telefonini sempre più precocemente e diversi studi raccontano come molti passino più tempo sui social che nei parchi, nelle palestre sportive o con i propri nonni o i propri genitori. Su piattaforme come Instagram, TikTok o YouTube, il loro pensiero critico comincia a formarsi, a classificare cosa è buono e cosa no, cosa è divertente e cosa li annoia, cosa potrebbe rappresentare un’idea di futuro e cosa reputano appartenente a una realtà ormai distante da loro. Allo stesso modo, plasmano i propri valori e tarano le aspirazioni nei riguardi del rapporto con gli altri e verso il domani.
I TheBorderline utilizzano la parola intrattenimento e – a giudizio loro e del pubblico che li segue – non è del tutto sbagliato. Il vocabolo su cui, però, vale la pena di soffermarsi è quell’aggettivo sano che associano alla loro idea di gioco e coinvolgimento dei followers. Quanto può definirsi sano proporre atteggiamenti spacconi, arroganti, sprezzanti di regole e pericoli, seppur costruiti ad arte, sul copione di un personaggio da interpretare?
Esempio perfetto di quanto appena descritto è – fatalmente – l’ultimo video pubblicato da TheBorderline prima di mettersi alla guida di quel SUV che risulterà mortale per il piccolo Manuel. I ragazzi, pronti a imbarcarsi nella challenge di cinquanta ore consecutive al volante, a un certo punto della squallida messa in scena fingono di rivolgersi proprio a una Smart che gli si parerebbe davanti: «Ma questo con la Smart che sta facendo? Abbello, la macchina tua costa 300 euro usata al Conad, la mia costa un miliardo. Vale quanto Amazon».
Pur volendo soprassedere dal commentare il significato che i TheBorderline danno della parola intrattenimento, perché sfottere chi possiede una Smart anziché una Lamborghini dovrebbe rappresentare un modello di gioco per le migliaia di ragazzini che seguono la pagina degli youtuber? Perché possedere quella che neppure figura tra le automobili più acquistate dalle famiglie a medio-basso reddito (tra le più diffuse in Italia), proprio a causa del suo prezzo non accessibile a tutti, e prendersene gioco viene proposta come forma di intrattenimento?
Il punto sta tutto lì, nella stessa società ultra-performativa e consumistica che additiamo ogni qualvolta raccontiamo dell’ennesimo giovane che non regge il peso delle aspettative e preferisce il suicidio all’umiliazione del fallimento. Non ha senso guardare alla scuola, ai voti in pagella, se non si punta il dito – prima! – sul luogo in cui quegli stessi ragazzi spendono la maggior parte del loro tempo, quella piazza virtuale che giudicano di continuo e da cui si sentono e si lasciano giudicare senza pietà.
Chi scrive non sa neppure quanto sia giusto domandarsi se quella dello youtuber sia una scelta possibile di esistenza. Le distanze generazionali, per quanto sempre esistite, oggi solcano voragini nel giro di pochi anni, e capirsi, dialogare è sempre più difficile. Eppure – al netto dell’incapacità del sottoscritto a reputare quella legata al successo sui social una vita degna di essere vissuta – un punto di non ritorno esiste e lo dimostrano fatti drammatici come quello che stiamo raccontando.
Quando qualcosa di così potente e pericoloso sfugge al controllo dei più, è ora che i governi facciano diventare questo strumento un luogo protetto, che si assumano la responsabilità di controllarne l’utilizzo, forse persino vietarlo sotto una certa età, proprio come si fa per le automobili di grossa cilindrata, perché Instagram, TikTok, YouTube e chi per loro possono e sanno essere anche più pericolosi di una Lamborghini lanciata a 110 km/h.
Si tratta – sì – di una questione di valori della società, di distanze sempre più grandi tra chi ha e chi non ha, l’idea che il produrre e il possedere siano l’unico obiettivo da perseguire, ma anche di cambiare lo stile di vita di tutti. Gli adulti devono tornare a fare gli adulti, a rappresentare un punto di riferimento, così come le istituzioni hanno l’obbligo di prendersi le responsabilità delle istituzioni, anteporre l’etica al guadagno.
In un mondo in cui mettere in mostra, o mettersi in mostra, è più importante che essere, i ragazzi hanno bisogno di una guida, così come genitori e famiglie devono ricevere aiuto, specie laddove gli si chiede di lavorare il triplo per arrivare a fine mese o pagare le rate di quella Smart che sarà oggetto di sberleffi dal prossimo possessore di Lamborghini.
Come il lettore avrà notato, con questo articolo non si intende puntare il dito sull’aspetto giudiziario della vicenda, quanto su quello etico e morale. È tempo che TheBorderline non sintetizzi più il titolo di intere esistenze, che valori quali il rispetto e la cura verso se stessi e il prossimo, in qualsiasi condizione sociale, tornino al centro dell’educazione che si riceve fin da bambini. Si può fare, social o non social. Non è facile, certo, ma vanno scritte delle regole, affinché anche la parola intrattenimento possa rappresentare, per i più giovani, qualcosa davvero di sano. Fuori e dentro il metaverso.