C’è una musica che accompagna, sottolinea, esalta le azioni più importanti e le uscite ufficiali di un Paese. È una melodia che suona nelle stanze dei palazzi dei capi di Stato, tra le strade delle città, nelle accademie, nelle caserme, negli stadi sportivi. Conserva spesso, tra le righe del proprio spartito, nel dipanarsi delle note, nel messaggio delle sue parole, la storia, la filosofia, la missione che le appartiene e di cui va fiera. È conosciuta come inno nazionale e tra i nostri confini suona al nome de Il Canto degli Italiani – noto ai più come Fratelli d’Italia – composta nel 1847 da Goffredo Mameli, in cui è presente un forte richiamo alla storia di Roma, alla coorte militare, una chiamata alle armi contro l’invasore straniero.
La guerra, le battaglie per la difesa dell’indipendenza e dell’identità, così come per la propria affermazione, sono spesso tema centrale di questi componimenti. L’esempio forse più calzante, in merito, è celato nell’inno appartenente agli Stati Uniti d’America, The Star-Spangled Banner – La bandiera adorna di stelle. Il bagliore rosso dei razzi e le bombe legittimano il drappo che sventola sulla terra dei liberi e dei coraggiosi. Un’esaltazione in piena regola, dunque, della propria forza, del proprio esercito, del proprio nazionalismo.
La musica, in ogni epoca, è stata spesso compagna di battaglie politiche e sociali, un vero e proprio mezzo non violento, ma ancora più incisivo delle mazzate, attraverso il quale uomini e donne liberi hanno rivendicato i propri diritti. Sono celebri, in tal senso, i canti degli schiavi neri d’America nelle piantagioni di cotone, il rock anni Sessanta che in centro Inghilterra ha accompagnato le rivolte degli operai delle miniere di carbone, per finire la canzone popolare italiana che ha raccontato la resistenza antifascista e le rivolte studentesche del caldo Sessantotto.
C’è un evento, però, che più di qualsiasi altro, è riuscito a coniugare le proteste con la voglia dei tantissimi partecipanti di far sentire la propria voce al mondo intero che li osservava stupefatto e che sempre avrebbe rimpianto quel palcoscenico: Woodstock.
Era l’estate del 1969 e una folla di circa 500.000 persone si radunò nel grande prato della cittadina appartenente allo stato di New York per celebrare la pace e l’amore libero. In una scaletta di tre giorni si alternarono sul palco del Festival decine tra i più grandi nomi del panorama musicale mondiale tra cui Santana, Janis Joplin, The Who, Joe Cocker e tantissimi altri.
A chiudere quella che resterà per sempre la manifestazione musicale più importante della storia, fu il chitarrista Jimi Hendrix con una performance incredibile di oltre due ore, nel corso della quale inviò al mondo il più forte messaggio mai trasmesso durante un concerto, eseguendo, per l’appunto, l’inno nazionale americano. In quegli anni, gli States erano impegnati in Vietnam in una delle guerre più atroci e sanguinose che i libri abbiano mai annoverato tra le proprie pagine e il musicista icona del rock, originario di Seattle, condusse quella marcia in un drammatico susseguirsi di esplosioni e lamenti riprodotti solamente dalla sua chitarra, imitando il fragore delle bombe che stavano sconvolgendo il paese asiatico diviso in due in una guerra di resistenza comunista proprio contro la democrazia a stelle e strisce.
Con quella sua esibizione, Hendrix sovvertì lo scopo di quel canto patriottico in modo violento, perentorio, destabilizzante, come gli ordigni che denunciò, i razzi che distrussero la vita del Vietnam.
Effetti distorti, tremolanti, forti colpi alle corde, la chitarra si fece portavoce di quelle barbarie, lo scorrere dell’inno americano fu interrotto dal suono straziante dei bombardamenti. La denuncia di Hendrix nei confronti della sua patria natia è quanto di più rivoluzionario e provocatorio si sia mai visto su un palcoscenico. Il messaggio dell’inno è caricato del significato più oscuro, la forza militare americana si impone sugli altri, spargendo sangue e disperazione.
È incredibile quante volte, su questo giornale, abbiamo ripercorso eventi del passato, trovandoli sempre così tristemente attuali, tanto da non sorprenderci nel riuscire ad accostarli perfettamente ai giorni nostri. Era il Sessantanove allora, e dopo cinquant’anni le esplosioni a stelle e strisce ancora risuonano, come sulla chitarra di Hendrix, su decine di territori in tutto il mondo, ancora sconvolgono le vite di popoli indipendenti, strappano via l’esistenza di migliaia di civili impotenti, armano i loro nemici costruiti a tavolino per dare il via a una nuova guerra. E ancor più, oggi, limitano le libertà di cui si fanno, invece, portavoce, esempio per il mondo intero, la terra dei liberi che costruisce muri e condanna ai confini.
E il bagliore rosso dei razzi e le bombe che esplodevano in aria / hanno dato prova, nella notte, che il nostro stendardo era ancora là.