È da poco uscito nelle sale cinematografiche The Happy Prince, scritto e diretto da Rupert Everett, l’eccellente attore inglese che per la prima volta nella sua carriera ha indossato i panni del regista per mettere in scena l’ultimo tempo dell’esistenza travagliata del grande scrittore Oscar Wilde. La difficile impresa, lunga e articolata nella fase post-produttiva più che nella realizzazione in diverse location europee, è stata concepita dopo l’acclamata interpretazione teatrale di Everett nella parte del geniale drammaturgo irlandese, nell’opera The Judas Kiss di David Hare.
Il film ci racconta gli ultimi anni di vita di Wilde, dopo l’infamia della condanna e della prigione, vissuta a causa della “scandalosa” passione amorosa per il giovane Lord Alfred Douglas, chiamato Bosie (interpretato dal giovane Colin Morgan). Il ritorno alla libertà per il famoso autore de Il ritratto di Dorian Gray, nella primavera del 1897, significa l’esilio a Parigi, dove vive senza soldi e in pessimo stato di salute. In questo periodo, si lascia andare a comportamenti che oscillano tra il desiderio di continuare a inseguire le passioni della sua vita letteraria e umana, vissute con sferzante ironia e sofferta autoironia, e la disperata ricerca di recuperare i riferimenti affettivi che gli permetterebbero di riprendere un’esistenza meno esposta alle sofferenze e alle umiliazioni dell’emarginazione sociale.
Lo aiuta il rapporto con l’amico di sempre Reggie Turner (Colin Firth), mentre è più conflittuale quello con l’agente letterario Robert Ross (Edwin Thomas), perché quest’ultimo detesta l’amato e giovane Bosie per la sua influenza ritenuta insopportabile causa ultima della “caduta” del maestro. Da lontano, inoltre, continua anche la dolorosa relazione con l’ex moglie Constance Lloyd (interpretata da una sempre brava Emily Watson) che gli permette di avere notizie dei suoi amati figli Vyvyan e Cyril, per i quali ha scritto, nel 1888, Il Principe felice e altri racconti. In giro per altre capitali europee, il geniale irlandese compie anche un viaggio in Italia, soprattutto per il clima mite che potrebbe giovare al suo fisico sofferente, con un breve soggiorno a Napoli. Ritornato a Parigi, le condizioni di salute si aggravano a causa di un’otite mal curata e il 30 novembre del 1900 Wilde muore, all’età di 46 anni.
Durante il periodo passato in carcere, il poeta ha scritto una lunga lettera a Bosie, intitolata De profundis. Nella messinscena filmica, la voce fuori campo dello scrittore recita: la voglia di vivere c’è ancora, anche se il mio cuore è spezzato. I cuori sono fatti per essere spezzati. In effetti, la ricostruzione cinematografica di Everett, rigorosa e lieve al tempo stesso, si intitola The Happy Prince proprio perché nella favola dedicata ai suoi figli l’autore ci parla dell’inseparabile unione tra il dramma e la commedia che caratterizza tutte le vite umane. Una condizione che diventa insopportabile e distruttiva, infine, quando un genio come Wilde non riesce a difendere la propria creatività libertaria, e la diversa, “inattuale” e carnale espressione della gioia di stare al mondo assieme alle persone che ama, dal rigido e disumano giudizio della morale pubblica del tempo storico in cui viene rappresentata la sua esistenza.