C’è un terrorismo sottile, silenzioso, che alberga nel cuore dei più, degli insospettabili. Un terrorismo che si muove nei sotterranei delle menti di chi, forse, nemmeno se ne accorge. Un terrorismo che fa versare lacrime a intervalli discontinui, perché c’è un tempo per dispiacersi e un altro per accusare. Un tempo per indignarsi e un altro per inveire. Al vicino di casa una preghiera, al dirimpettaio una bestemmia.
C’è un terrorismo che riempie le parole di odio nei confronti di chi non veste come noi, parla una lingua che non si insegna nelle nostre scuole, vive dove probabilmente – con stupida presunzione e grande carenza di sapere – non andremmo in vacanza, prega un dio che ha un nome differente dal nostro, quello “giusto”. Un dio che, però, da quelle terre veniva, quella lingua parlava, quei vestiti portava. E nulla di ciò che ci piace capire professava.
C’è un terrorismo che banna ciò che non conosciamo, che dà la caccia a streghe che in realtà non esistono, ma che scegliamo di vedere. La verità, si sa, non piace quasi mai a nessuno. Un terrorismo frutto di ignoranza che diventa razzismo e, a sua volta, fascismo. Un terrorismo che cataloga i morti in buoni e cattivi, offrendoli in pasto a chi si attribuisce capacità decisionali oltre i limiti del consentito all’uomo. Agli sciacalli. Alle sanguisughe del dolore altrui. Ai frustrati senza amore. Ai disumani.
C’è un terrorismo che si nutre di infamia e paura, che genera mostri apparentemente invisibili ma ben delineati nello specchio. Perché c’è un tempo per sentirsi americani, un altro spagnoli, un altro francesi, un altro ancora belgi, al massimo tedeschi. Sui social e non per strada, per moda e non per senso delle cose. Come se bastasse a fermare la guerra. Perché è di questo che parliamo, di guerra. Nel mondo e del mondo. E alle cose si deve dare un nome, anche quando fanno orrore e terrore. Per studiarle e capirle, per affrontarle.
Per combattere il terrorismo, quello sottile, silenzioso, che alberga nel cuore dei più, degli insospettabili. Quello che si muove nei sotterranei delle menti e le contamina, originandone altro. Quello che ignora Aleppo e piange Parigi catalogando i morti e i boati, i più forti e i più piccoli. Insignificanti. Come fosse Capodanno. Come fossero botti. Invece, sono bombe. Invece, è guerra.
C’è un terrorismo da tastiera e uno da attentato in pieno centro cittadino. L’eco dell’ordigno, però, è lo stesso. Il mandante pure. Siamo certi che parli arabo?