La Terra dei Cuori: l’avevamo lasciata così, lo scorso anno, quella porzione di mondo che si estende tra il napoletano e il casertano. Era novembre e il governo del cambiamento aveva da poco iniziato a lavorare. Non aveva perso tempo, però, nel mobilitarsi in massa per firmare un protocollo – sdoppiatosi per un contrasto con la Regione Campania che ne sottoscrisse solo una parte – al fine ufficiale e propagandistico di garantire maggiore controllo a zone devastate dai rifiuti come dalla malattia. Droni, militari, carabinieri, un’azione sinergica con le ASL e i medici di base per sorvegliare l’aria e il territorio attraverso la presenza anomala di patologie legate all’inquinamento da rifiuti: nulla di nuovo, insomma, e nulla che facesse presagire una chissà quale soluzione concreta. Eppure, ai tempi, l’uscente – o futuro? – Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, i suoi Vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio, nonché il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, avevano promesso ad Aurora, la bambina-simbolo di uno dei peggiori disastri ambientali mai discussi, che la puzza di bruciato non le avrebbe più invaso i polmoni, trasformando la Terra dei Fuochi in Terra dei Cuori, come l’associazione fondata dalla coraggiosa ragazzina per aiutare altri giovani, vittime come lei di una criminalità organizzata anche dallo Stato.
Da allora, sono trascorsi nove mesi e quel governo ha già smesso di lavorare. La monnezza, invece, non ha smesso di invadere le strade, così come le fiamme di illuminare le notti a nord di Napoli e nella provincia di Caserta. Il fumo nero, a sua volta, ha continuato a sporcare le speranze e a rubare vite soffiandole via leggere, colpevoli soltanto di non essere riuscite a sconfiggere il mostro. Sono ancora troppi, infatti, i roghi in Campania e rischiano, nelle prossime settimane, di aumentare sempre più con la chiusura, da settembre fino al 12 ottobre circa, del termovalorizzatore di Acerra, l’unico della regione. Una notizia che ha scosso i cittadini e mobilitato i comitati locali, mai dimentichi di un’emergenza che tuttora incute timore.
Il puzzo di spazzatura, i cumuli alti fino a raggiungere i primi piani di molti palazzi, intere distese di cenere e sterpaglia, lo slalom per passeggiare sui marciapiedi costretti spesso a invadere la carreggiata, le finestre serrate, il petto gonfiato dalla tosse e i capelli di chi li ha visti cadere per le tante chemio non si scordano in breve tempo, forse non si scordano mai. A chi vive quelle zone scuotono ancora i sogni la sera, danno il buongiorno al mattino, muovono il passo condizionandone il ritmo, rallentandolo per il dolore o velocizzandolo per la paura. Di morire, certo, ma soprattutto di veder spegnersi le persone amate. Timori comuni eppure, in quelle terre, giustificati anche da numeri nient’affatto rassicuranti.
A tal proposito, risale allo scorso giugno la presentazione della fase preliminare dello studio sull’impatto sanitario degli smaltimenti e delle combustioni dei rifiuti svolto dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con la Procura della Repubblica di Napoli Nord. Una ricerca che ha preso in esame ben 38 Comuni delle province di Napoli e Caserta, sedi di circa 2767 siti di smaltimento dell’immondizia – controllati e abusivi –, al fine di dimostrare la correlazione tra l’alta incidenza tumorale nei 426 km quadrati analizzati e le vite sempre più in bilico di chi vi dimora. In particolare, nelle aree interessate, circa il 37% della popolazione, vale a dire 354845 abitanti, risiede entro 100 metri da almeno un sito – ma, spesso, anche più di uno – con l’inevitabile aumento dei rischi e dei fattori espositivi.
Per stilare il report, sono stati definiti indici di pericolosità per i siti di stoccaggio prendendo in considerazione la natura dei rifiuti, le caratteristiche della zona, la potenziale possibilità di contaminazione di terra, aria e acqua e la percentuale di popolazione che abita nelle relative aree di impatto. I Comuni, quindi, sono stati a loro volta suddivisi in quattro categorie dal valore crescente che hanno evidenziato le aree maggiormente colpite. Nello specifico, a presentare statistiche più allarmanti sono stati i territori di Giugliano e Caivano, seguiti da Villaricca, Mugnano, Melito, Casoria e Cardito. Territori le cui immagini sono state spesso sulle prime pagine dei giornali, oggi occupate soltanto dai valzer di governo.
Nella relazione, inoltre, si è attestato che nella Terra dei Fuochi la percentuale dei decessi dovuti al cancro è maggiore rispetto al resto della regione Campania e dell’intero Sud Italia (periodo 2008-2015), soprattutto nei casi di tumore al fegato e alla vescica, riscontrati in entrambi i sessi, e alla mammella nelle donne, con una casistica speciale nei Comuni della terza e della quarta fascia. Più in generale, comunque, tra il 2008 e il 2012 è risultata superiore la diagnosi di tutti i tipi di carcinoma. Eccessi significativi si sono registrati, poi, dei tumori ai polmoni per i quali va denunciata la frequenza di combustioni non autorizzate. Ma al di là della mortalità, molteplici sono stati anche i casi di ospedalizzazione, in particolare per asma e in particolare nei centri con indicatore maggiore, e la presenza di nati pretermine, con aumento dei tumori del tessuto linfoematopoietico tra gli 0 e i 14 anni.
Dunque, mentre a Roma si discute, in Campania si continua a bruciare nella complicità delle istituzioni locali e nazionali, incapaci – o noncuranti – di combattere una guerra utile a riempire i talk show – più secondo la logica sputtanapoli che di analisi del problema – ma mai le agende di governo, sature di chiacchiere e vuote di contenuti. A tal proposito, non si è differenziato – per restare in tema – nemmeno l’esecutivo uscente, tornato nelle ultime settimane a scontrarsi sull’argomento, con il Ministro Costa che sulle pagine del Corriere ha lanciato un appello al Vicepremier Salvini, accusato di aver disertato il Viminale e, quindi, di non aver fatto il suo presidiando il territorio. Una stroncatura giunta forse troppo tardi, quando i rapporti tra MoVimento 5 Stelle e Lega erano ormai già in piena crisi.
A fargli eco, anche il Presidente della Camera Roberto Fico, campano come Luigi Di Maio, che ha invitato le parti a convocare la cabina di regia voluta lo scorso novembre. Nel frattempo, però, nessuno ha pensato di promuovere nuovamente a SIN (Siti di Interesse Nazionale) quelle aree declassate inspiegabilmente a SIR (Siti di Interesse Regionale) che assegnano le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica dei territori alla competenza locale. Una scelta che appare ancor più scellerata – in particolare in ottica autonomie – se si guardano i bilanci della Regione Campania e la radicata presenza tra i suoi confini della malavita che, di certo, saprebbe come controllare anche queste attività. D’altro canto, le indagini parlano chiaro, quello dei rifiuti è un mercato florido che genera interessi più e, soprattutto, meno leciti. Interessi politici, interessi criminali, interessi speculativi. Interessi a intermittenza.
Da giorni, non si fa altro che parlare dei roghi in Brasile, focolai di morte destinati a condannare l’intero pianeta e la vita che su di esso si sviluppa. Da tempo, invece, non si parla più – e seriamente – della vasta area tra Napoli e Caserta. Eppure, non sono poi così diverse l’Amazzonia e la Terra Dei Fuochi. Entrambe vittime dell’uomo, della sua mano omicida, di una ragion di Stato che non ragiona, che guarda a sé, all’oggi, all’immediato. Entrambe natura morta e malattia, passato senza futuro, fuoco e fumo, l’abitudine che tace, la disperazione che combatte, la paura di non farcela più. Sono disastri senza precedenti, dolori su dolori, la vita che si arrende, la certezza che avremmo potuto essere grandi e, invece, siamo soltanto uomini, e invece siamo soltanto assassini, e invece siamo soltanto capitalisti. Per fortuna non resteremo.
Cenere e niente più.