Il Teatro di San Carlo, primo teatro lirico d’Europa, fu voluto da Carlo III di Borbone con l’intenzione di farne uno dei simboli del suo potere.
Napoli in quegli anni era la capitale indiscussa della musica, grazie ai suoi quattro conservatori e a musicisti importanti quali Alessandro e Domenico Scarlatti, Domenico Cimarosa, Giovanni Battista Pergolesi e Giovanni Paisiello. In breve tempo, quindi, il nuovo teatro partenopeo divenne un vero e proprio punto di riferimento nonché protagonista della scena internazionale, come scrive Antonio Emanuele Piedimonte nel suo Napoli. Nessun artista avrebbe mai potuto imporsi nel panorama musicale senza aver calcato in precedenza le tavole del Real Teatro, edificato centosessantasette anni prima dell’Opéra di Parigi, centocinquanta prima del Covent Garden di Londra e quarantuno prima del Teatro alla Scala di Milano.
La durata della sua costruzione fu incredibilmente rapida: sette mesi. L’inaugurazione avvenne il 4 novembre del 1737, giorno dell’onomastico del re, portando in scena l’opera Achille in Sciro di Metastasio. Da quel momento e fino alla sua ricostruzione, il Real Teatro non sospese quasi mai le sue stagioni – accadde soltanto dal 1874 al 1876 per la grave crisi economica successiva all’unificazione dell’Italia –, accogliendo grandissimi protagonisti come Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Cilea e Alfano. Tra i grandi interpreti del Novecento, invece, ricordiamo Luciano Pavarotti, Placido Domingo, Alfredo Kraus, Maria Callas e molti altri.
Quello che oggi conosciamo come Teatro di San Carlo è un’elegante architettura neoclassica, la facciata presenta colori sobri che dal grigio al massiccio porticato di piperno vanno nel bianco marmoreo dei bassorilievi. Le colonne ioniche e il frontone triangolare invece, che rievocano un tempio greco, conferiscono alla struttura un aspetto quasi sacrale.
L’interno è altrettanto maestoso con cinque ordini di palchi decorati in oro zecchino, disposti a ferro di cavallo intorno a un palcoscenico lungo trentacinque metri circa. Il gran Palco Reale, definito da Stendhal nulla di più maestosamente superbo, conferisce regalità all’intera struttura grazie al baldacchino poggiato su due palme dorate in grandezza naturale e sormontato dalla corona del Regno delle Due Sicilie, posto proprio sopra l’entrata.
Alle spalle del palco, c’è il passaggio con il Palazzo Reale, creato per consentire ai sovrani di recarsi agli spettacoli senza dover uscire in strada, come scrive ancora Piedimonte. Colletta ha narrato una leggenda, poi riportata anche da Benedetto Croce, secondo la quale l’idea del passaggio diretto al teatro sarebbe nata la sera dell’inaugurazione quando il re, dopo aver tessuto le lodi dell’architetto Angelo Carasale, spiegò che sarebbe stato più comodo per la regola famiglia passare dall’uno all’altro edifizio per cammino interno.
La notte del 13 febbraio 1816, un violento incendio, causato forse da una lucerna rimasta accesa, devastò il San Carlo lasciando in piedi soltanto i muri perimetrali. Una vera e propria catastrofe che, però, vide la rinascita della struttura in tempi altrettanto brevi, come racconta Piedimonte. I lavori commissionati da re Ferdinando IV e diretti dall’architetto e caposcuola del Neoclassicismo a Napoli Antonio Niccolini, infatti, furono completati in nove mesi.
Salvatore Di Giacomo nel suo Ferdinando IV e il suo ultimo amore scrisse: Il Teatro di San Carlo era stato riaperto il 12 gennaio del 1817, giorno onomastico così di Ferdinando come dell’allora Duca di Noto, che fu poi Ferdinando II. Gremito del più bel pubblico, il San Carlo aveva offerto quella sera uno dei più sontuosi e brillanti spettacoli: tutta l’aristocrazia napoletana v’era convenuta, una sfolgorante illuminazione aveva irradiato la bellezza e lo sfarzo muliebre, e Ferdinando tra il Duca e la Duchessa del Genevese, aveva assistito a quasi tutta la rappresentazione.
La testimonianza più intensa, però, resta sicuramente quella di Stendhal: […] la sala è abbagliante… per un momento ho creduto di trovarmi nel palazzo di qualche principe orientale. I miei occhi sono abbagliati e la mia anima rapita. Nulla di più fresco e nulla di più maestoso… In Europa non v’è nulla, non dirò che somigli, ma che possa anche lontanamente dare un’idea di ciò che vedo.
Insomma, come disse Carlo Del Balzo, alla fine dell’Ottocento, il San Carlo era a tutti gli effetti un glorioso “castello” del mondo della musica.