Tutto e il contrario di tutto, ci risiamo! L’ennesimo scivolone della premiata ditta a 5 Stelle interessa uno dei temi più caldi e dibattuti degli ultimi anni nel Sud Italia e nell’intero Stivale: il gasdotto pugliese della TAP. «Questa è un’opera di fantascienza», gridava Beppe Grillo nel 2014, proponendo un referendum per bloccarne i lavori. «Una volta al governo, fermiamo tutto in 15 giorni», aveva invece promesso Alessandro Di Battista. Nulla di fatto. La TAP andrà avanti, il progetto sarà completato, l’elettorato salentino – a cui i pentastellati avevano attinto per un importantissimo bacino di voti – è beffato.
Luigi Di Maio – non contento della figura da poco rimediata con la storia della manina tirata in ballo per giustificare il condono fiscale che il MoVimento ha concesso in Consiglio dei Ministri per i capitali all’estero, un ottimo regalo ai grandi evasori del Bel Paese – si è scagliato contro il nemico di sempre, il PD, accusato di avergli occultato le carte dell’accordo secondo le quali, in caso di stop all’opera pugliese, le penali da pagare sarebbero state superiori ai 20 miliardi di euro, pertanto insostenibili dai contribuenti italiani. Come possa convincere anche solo un bambino con i suoi insopportabili piagnistei da campagna elettorale, però, resta un mistero. Infastidisce, a dire il vero, la noncuranza con cui, in fase di propaganda, l’attuale Ministro del Lavoro ha elargito promesse senza assicurarsi della fattibilità dell’azione promossa. Chiunque di noi, così operando, potrebbe garantirsi un posto in Parlamento. È facile: basta illudere… la fattibilità è poi altra cosa. Nessuno ha mai pagato per il tradimento dei propri principi.
Peccato, però, che Calenda prima, e i nostri colleghi de la Repubblica poi, abbiano svelato il giochino del Vicepremier grillino. Quelle a cui fa riferimento Di Maio, infatti, pare non siano penali previste dai contratti stipulati tra il governo precedente e le aziende coinvolte, bensì le richieste di risarcimento che le stesse potrebbero chiedere, in sede giudiziaria, qualora l’opera fosse davvero cancellata dai programmi della maggioranza. Ben altra cosa rispetto a delle more inevadibili. Non essendoci, infatti, un contratto con lo Stato, non possono esistere penali che l’Italia dovrebbe pagare in caso di interruzione dei lavori. La Repubblica, inoltre, ha reso noto che i pentastellati erano, eccome, a conoscenza dei documenti di cui parlano. Infatti, nel 2015, gli stessi furono presentati in Aula e messi a votazione (Il MoVimento optò per il NO).
I comitati di quelle terre tradite, sulla scia degli operai di Taranto – anch’essi vittime di un dietrofront dell’esecutivo sulla questione ILVA – chiedono le dimissioni di Luigi Di Maio e degli onorevoli eletti in Salento sulla base delle promesse fatte alla popolazione rispetto alla TAP. L’imbarazzo che oggi avvolge Grillo e compagni – siamo certi – non basterà, però, a una tale dimostrazione di coscienza.
Ciò che infastidisce, anche oltre le continue manovre in retromarcia della componente di maggioranza del governo Lega-5 Stelle, è l’atteggiamento sfottente di chi non solo non chiede scusa, non tradisce un minimo di vergogna, ma addirittura si pavoneggia della propria incapacità, beandosi dell’ignoranza che, ogni volta, accoglie le discolpe successive agli ormai innumerevoli fallimenti.
Perché a Di Maio e soci viene perdonata ogni azione in controtendenza con quanto promesso? Perché ogni parola del leader pentastellato viene prontamente accettata dal suo elettorato come il Verbo di Dio dai credenti in Piazza San Pietro? Perché al popolo italiano basta guardare al passato, puntare il dito contro chi, prima di loro, ha messo in ginocchio il Paese per giustificare tanta incoerenza e incapacità? Ci siamo davvero rassegnati a tanta bruttezza, a questo andazzo fatto solo di privilegi ai soliti giganti e di guerra al più povero? Eppure, gli unici che oggi ne pagano il conto sono gli stessi che lo pagavano ieri. Aumenta la disoccupazione, i giovani scappano, i conti non tornano, il futuro – dovessero fallire, come è altamente probabile, i programmi economici – sarà sinonimo di un Monti bis, con tasse insostenibili e strette fiscali da togliere il respiro. Cosa sarebbe successo se tutto ciò fosse stato imputabile al solito PD, e perché questi non vengono giudicati con la stessa severità?
Dopo il NO alla TAV di Torino già in parte ritrattato, il NO EURO ridotto a un pericoloso braccio di ferro con le agenzie di rating europee, il NO all’ILVA e alla TAP già tramutati in un nuovo matrimonio con le grandi aziende, dopo il tassativo rifiuto ai condoni fiscali promesso da Di Maio – a patto di iscriversi proprio al PD in caso di ripensamento – cos’altro dobbiamo aspettarci? Che davvero il Vicepremier si accasi all’ombra dell’Ulivo?Magari! Sarebbe l’unica occasione per svegliare i suoi attuali seguaci e, finalmente, vederli muovergli le critiche che ha già dimostrato di meritare. Ma, statene certi, rimangerà anche questa.