Vivo la vita ai margini della società, e le regole della società normale non si applicano a coloro che vivono ai margini. – Tamara de Lempicka
Era il 18 marzo 1980 quando si spense nel sonno, all’età di ottantanove anni, la diva dell’Art Déco. Una donna tormentata, cupa, che aveva fatto della sua stessa vita un’immensa opera d’arte. Il suo nome era Maria Gurwik-Górska ma tutti la conosciamo come Tamara de Lempicka. Pittrice polacca, tra le più famose artiste donne della storia dell’arte, ed esponente dell’Art Déco, corrente che interessò l’intero XX secolo e che riguardò sostanzialmente le arti visive, decorative, l’architettura e la moda.
Guardare il suo volto ci suggerisce l’immagine di una donna forte ma anche malinconica, che mentiva spesso su se stessa e sulle sue origini per mera convenienza – ad esempio era nata a Varsavia, non a Mosca come diceva, forse per nascondere le origini ebree di suo padre e per sembrare più nobile. Nel 1907, fece il suo primo viaggio in Italia, ammirando le città d’arte e i loro numerosi capolavori. Sapeva, infatti, che l’arte le avrebbe fatto scoprire davvero la sua identità – la nonna l’aveva sempre sostenuta – e per questo si recò anche in Francia, dove apprese le prime nozioni di pittura.
Fu però a San Pietroburgo che la sua vita ebbe la prima grande svolta: la conoscenza del facoltoso avvocato Tadeusz Łempicki. Già allora Tamara, diciottenne, ebbe modo di mostrare la sua stravagante personalità presentandosi a una festa in maschera travestita da guardiana delle oche, con un’oca in carne e ossa tenuta al guinzaglio. I due si sposarono nel 1916. Sfortunatamente, l’avvento della Rivoluzione Russa li costrinse a trasferirsi a Parigi, dove nacque la loro figlioletta, Marie Cristine, detta Kizette. Ma Tamara aveva in mente altri progetti. Cominciò, quindi, a lavorare come disegnatrice di cappelli e si iscrisse all’Académie de la Grande Chaumière e all’Académie Ranson per imparare a dipingere. La sua prima mostra avvenne al Salon d’Automne, nel 1922, ma il successo lo raggiunse con i suoi ritratti che la consacrarono come una delle ritrattiste più influenti di Parigi.
Il suo stile era unico ed eccentrico, conservando influenze del Cubismo ma adattandosi alle nuove correnti contemporanee. Il suo tratto distintivo era rappresentato da linee nette e spigolose e colori forti, e i suoi soggetti – per lo più femminili – ritraevano donne protagoniste della tela, decise, spesso sensuali, a volte fredde, quasi irraggiungibili (Andromeda, Le due amiche, Ritratto di Ira P.). In fin dei conti, non era un mistero per nessuno la sua palese bisessualità.
La sua vita diveniva sempre più intensa e ai limiti dell’eccesso: partecipava a feste di lusso, aveva numerosi amanti, faceva uso di droghe e dipingeva nel cuore della notte con la musica di Wagner ad alto volume. Era divenuta celebre come la Garbo dell’est, poiché adorava adornarsi di abiti – a volte anche maschili – e gioielli sfarzosi, quasi come una diva di Hollywood. Fu persino ospitata da Gabriele D’annunzio al Vittoriale, la sua villa sul lago di Garda, dopo incessanti tentativi di seduzione da parte del letterato che la Lempicka respinse fino alla fine. Anche Filippo Tommaso Marinetti ebbe modo di conoscerla bene: pare che una sera le propose di incendiare il Museo del Louvre, programma per fortuna non andato a buon fine.
A causa della Seconda guerra mondiale, Tamara fu costretta, assieme al secondo marito, a trasferirsi in America, in California e poi a New York. Nel tempo, la sua arte si fece più astratta, quasi surrealista, attraverso l’utilizzo della spatola al posto del pennello. Il motivo fu una violenta depressione dalla quale non riuscì a separarsi mai più. Le sue donne, vigorose e ammalianti, furono spesso sostituite da nature morte o soggetti religiosi, come Madre Superiora, da lei considerata la sua opera migliore.
La critica, però, non la pensava allo stesso modo e il successo calò. Solo all’età di settantadue anni, il gallerista parigino Alain Blondel la spinse a organizzare una mostra alla Galerie du Luxembourg di Parigi che le restituì buona parte della fama, esponendo anche nel resto d’Europa. L’ultima tappa della sua vita e della sua carriera fu Cuernavara, in Messico, con un ennesimo marito e un animo sempre più corroso dalle paturnie.
Purtroppo, la maggioranza delle opere della Lempicka appartiene a collezioni private e ciò ha sempre reso difficile la conoscenza e il rapporto con il grande pubblico. Nel 2016, una sua grande mostra a Palazzo Forti, a Verona, ha contribuito alla fruizione della sua arte ma non solo. Anche il mondo dello spettacolo merita un posto d’onore, responsabile forse la vita sregolata dell’artista: Madonna è considerata una delle principali collezioniste della Lempicka, con opere mostrate anche in celebri videoclip. Da citare poi Jack Nicholson, Barbra Streisand e Dolce&Gabbana.
Il contributo di Tamara de Lempicka nell’arte, in quanto donna, resta uno dei maggiori. Simbolo di emancipazione femminile nello stile e nel lavoro, in un ambiente in cui non era facile per una donna fare carriera senza l’ausilio di un uomo al suo fianco. E invece la diva era lei, che fece scalpore ritraendosi, per la copertina di Die Dame, alla guida di una Bugatti verde, simbolo di libertà femminile (Autoritratto nella Bugatti verde). Che non aveva timore di rappresentare donne belle e forti, sensuali e padrone di se stesse. Ma quello che Tamara ha sempre ritratto, attraverso ogni sua donna, non era altri che se stessa. Tamara sempre, Tamara ovunque, perché nel protagonismo di una vita sopra le righe, lei in fin dei conti ha sempre e solo cercato se stessa, forse senza mai trovarsi davvero.