In un universo contemporaneo che letteralmente trabocca di filmetti horror perlopiù insulsi, è sempre una gradita sorpresa trovare quel gioiellino che ci ricorda che il genere non solo non è affatto di serie b ma ha anche ancora tanto da dire. L’avvicinarsi di Halloween è dunque un motivo in più per titillare le papille di tutti gli amanti del brivido, un brivido però non scontato. Si parla di Talk to Me, attualmente nelle sale italiane, esordio alla regia dei fratelli australiani Danny e Michael Philippou.
Già noti al pubblico di internet e di YouTube con lo pseudonimo di RackaRacka, i due si sono distinti negli anni per i vari cortometraggi horror pubblicati e in particolare per quelli con protagonista Ronald McDonald in veste di killer di bambini. La fama e l’evidente talento li hanno portati faccia a faccia con l’A24, casa di produzione e distribuzione che negli ultimi tempi sembra trasformare in oro tutto ciò che tocca. Basti citare Hereditary, The Lighthouse, Midsommar, Men, Everything Everywhere All at Once, Beau ha paura e molte altre pellicole già cult.
E cosa avrà Talk to Me di tanto speciale? Semplicemente, non è ciò che sembra. Sebbene non sia considerabile un capolavoro – è pur sempre un’opera prima di due giovani registi senz’altro promettenti –, si tratta di un film adatto sia a chi desidera spegnere il cervello e godersi un buon prodotto di intrattenimento, sia a chi ricerca nella visione più sfumature e chiavi di lettura. Ma attenti al trailer. Se, stimolati dalla curiosità, andrete a ricercarlo: occorre avvertire, però, che il trailer è quanto di più ingannevole possa esistere. Almeno per le menti che voglio restare accese.
Protagonista è Mia (Sophie Wilde), ragazza all’apparenza allegra e socievole, un’allegria sospetta, che cela enormi turbamenti interiori. Primo fra tutti, la morte della madre in circostanze poco chiare. Per questo motivo parla poco con suo padre e trascorre intere giornate a casa della sua migliore amica Jade (Alexandra Jensen), assieme all’affezionato fratellino di quest’ultima, Riley (Joe Bird). Le cose si complicano nel momento in cui decidono di utilizzare una misteriosa mano che sembra essere il portale tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Basta soltanto stringerla e pronunciare le parole parla con me.
Se ci si fermasse alla sola visione del trailer, il film sembrerebbe il classico horror per adolescenti a tema possessioni e spiriti, banale ma sempre vincente. Niente di più sbagliato. Dopo i terrificanti (e non in senso positivo) The Nun II e L’Esorcista – Il Credente, Talk to Me arriva in sordina e con quattro spicci (incassando circa dieci volte quanto è costato), travestendosi da horror convenzionale ma regalando molte più sfumature. Si tratta infatti di un film estremamente profondo che affronta tematiche forti quali il lutto, la depressione o la malattia mentale, utilizzando e poi ribaltando i classici stilemi del genere. Anche i jumpscare, troppo spesso abusati e insensati, qui, dove ci sono, risultano ben contestualizzati. Perché Talk to Me non ha bisogno di tali espedienti per riuscire a inquietare.
Buono il cast anche se esordiente (nota di merito a parte alla mamma dell’amica, interpretata da un’ottima Miranda Otto), nei panni di personaggi molto umani e per nulla stereotipati. Prima fra tutti, Mia, la quale può risultare in più di un’occasione alquanto fastidiosa. In realtà ogni suo atteggiamento si riconduce a un fortissimo senso di solitudine e a una disperazione che lentamente sembra divorarla dall’interno. A poco a poco, lo spettatore penetra nella sua psicologia, in un gioco di crescente tensione e costante dubbio. Il merito va senz’altro a una scrittura non improvvisata e a un ritmo ben scandito che riesce a tenere lo sguardo del pubblico saldamente incollato allo schermo, senza annoiare neppure per un istante.
Tanto di cappello anche al comparto tecnico che in un’ora e mezza circa di pellicola (cosa non da poco dal momento che oggi i film sembra debbano durare necessariamente un lustro) ci regala una regia dalle immagini volutamente distorte e una fotografia dai toni freddi e angoscianti.
Ma soffermiamoci un secondo sulla mano. Un oggetto semplice e pericoloso, visivamente di impatto e in grado di rendere un film subito riconoscibile anche a distanza di tempo. Praticamente un asso nella manica. Questa originale alternativa alla classica tavola ouija, volendo contemplare piani di lettura più latenti, può essere metafora della dipendenza da sostanze. Il momento della possessione diventa quasi un trend social, un’esperienza che serve a sballarsi per sentirsi i padroni dell’universo e che, dopotutto, si crede di poter controllare. In realtà è una discesa infinita e, come la droga, divora dentro un pezzetto alla volta. Non c’è da stupirsi, dunque, se i personaggi ne abusino e non si facciano troppe domande sulla provenienza della mano. A loro basta che faccia il suo dovere.
Sulla scia di pellicole più autoriali come quelle di Ari Aster o l’ancora molto citato It Follows di David Robert Mitchell (a cui si avvicina davvero tanto concettualmente), Talk to Me non si accontenta di essere soltanto un prodotto di intrattenimento ma osa con simbolismi e riflessioni contemporanee a discapito dei momenti meramente horror (pochi ma efficaci). Per quelli in cerca di emozioni forti e per quelli che nell’horror non ripongono più tanta fiducia, dategli una possibilità. Non ve ne pentirete.