Gyula Halász, in arte Brassaï, nato a Braşov il 9 settembre 1899, è stato un fotografo ungherese, naturalizzato francese, entrato a far parte della storia della fotografia del XX secolo. La sua famiglia si trasferì a Parigi quando l’arista aveva tre anni, poi si spostò a Budapest dove Gyula iniziò a studiare pittura e scultura. Finita la Prima Guerra Mondiale, dopo essersi arruolato nell’esercito austroungarico, il giovane andò a vivere a Berlino lavorando come giornalista e riprendendo a studiare presso l’Accademia di Belle Arti. Nel 1924 si trasferì definitivamente a Parigi dove trovò lavoro come fotogiornalista presso la rivista Minotaure – avamposto del Surrealismo – e, in poco tempo, si affermò come ritrattista ufficiale degli artisti a essa legati: Breton, Dalí, Giacometti, Picasso e molti altri.
Tra questi ritratti c’è quello del poeta Léon-Paul Fargue, fotografia del 1933, che mostra un uomo tarchiato, seduto su una panchina in un parco illuminato da un lampione di cui si deduce l’esistenza, ma che effettivamente non si vede. Questo lavoro mostra per davvero a chi somigliava Fargue perché, come Rosalind Krauss nel suo Teoria e storia della fotografia scrive anche per Stieglitz, ci hanno insegnato a credere all’oggettività della testimonianza fotografica. A differenza di un dipinto, caratterizzato dal rigore e spesso dalla rigidità della composizione, qui c’è qualcosa di inaspettato, una parte effettivamente troppo grande della scena è stata volontariamente inclusa nell’immagine. Léon-Paul Fargue era per Brassaï un compagno di passeggiate notturne, continua la Krauss: il fotografo infatti condivise con i surrealisti la passione per queste camminate attribuendosi il nome di nottambulo. Non a caso, proprio il poeta lo guidò per una parte di quelle passeggiate che condussero a Paris de nuit (Parigi di notte), il primo libro pubblicato dall’artista, un’abitudine, quella del movimento, considerata un esercizio importante che gli permetteva di rivendicare, a modo loro, la città.
Molti dei più importanti testi surrealisti, soprattutto quelli di Breton, sono stati illustrati dalle fotografie, tante delle quali firmate da Brassaï, un chiaro segno di quanto essi fossero interessati alla documentazione e di come considerassero la fotografia documentaria un mezzo ottimale da sfruttare. Un esempio, secondo la critica, è L’Amour fou di Breton, in cui è possibile cogliere l’atteggiamento del Surrealismo di fronte al reale, un comportamento che influisce sulla fotografia che, a sua volta, ne è influenzata. Parlando dell’opera, Walter Benjamin dice: In questo genere di luoghi Breton si serve della fotografia, in una maniera assai singolare: essa fa delle strade, delle porte, delle piazze della città le illustrazioni di un romanzo popolare, spilla da queste architetture secolari la loro evidenza banale per collegarle, con l’intensità più originaria, con l’accadere rappresentato, a cui rimandano citazioni testuali col numero della pagina, proprio come nei vecchi libri popolari. E tutti i posti di Parigi che compaiono qui sono luoghi dove ciò che sta tra queste persone si muove come una porta girevole.
Fu André Breton, inoltre, a commissionare a Brassaï, nel 1933, delle vedute notturne della torre Saint-Jacques del Marché aux Fleurs e delle Halles per la pubblicazione di La nuit du Tournesol (La notte del girasole) nella rivista Minotaure, testo capitolo centrale di L’Amour fou. Brassaï però non ebbe il bisogno di scattare le fotografie, perché già da tempo aveva dato vita a quelle immagini. La Krauss sostiene che all’inizio degli anni Trenta la sensibilità del fotografo ungherese e il suo modo di vedere Parigi fossero paralleli, per molti aspetti, a quelli dei surrealisti. Brassaï era un “nottambulo” e i personaggi che ha scelto per la sua “Parigi di notte” sembrano uscire direttamente dalla vita dei “passages” che Aragon aveva celebrato nel capitolo di “Il paesano di Parigi” intitolato “Il Passage de l’Opéra”. I personaggi sono gli stessi, protettori, prostitute, piccoli malviventi e perdigiorno, ma anche gli scenari si somigliano. Il fotografo era particolarmente attratto da quei luoghi della città in cui la frontiera tra pubblico e privato va sfumandosi, dove l’intimità si mostra davanti a tutti, dove gli specchi del caffè e delle sale da ballo funzionano da vetrine dei passaggi stessi; questi luoghi erano in grado di trasformare il linguaggio più segreto degli atteggiamenti fisici in proclami pubblici di pannelli d’affissione, in manifesti, in segni. Brassaï fissa questi corpi nell’immagine mentre vivono la loro vita nello spazio semipubblico-semiprivato della notte urbana, li espone come frammentati e li restituisce come una concatenazione di loro stessi e del loro segno. Per esempio, la coppia che si sta abbracciando in un caffè della Place d’Italie, è a sua volta abbracciata dall’angolo dello specchio del locale, e l’azione speculare è tale che l’abbraccio della coppia è rigiocato sulle pareti del caffè, ma in una rappresentazione che non unifica, bensì separa. I due profili, quello dell’uomo e quello della donna, vengono separati, e si mostrano ai lati dell’immagine del tutto isolati l’uno dall’altro. Gli specchi diventano quindi un mezzo attraverso il quale viene creato un gioco di segni e, di conseguenza, le immagini riflesse dei personaggi acquisiscono significati diversi: narcisismo, egoismo, seduzione. Gli specchi implicano che ogni elemento di realtà può essere scomposto da un procedimento ottico e poi ricomposto o riscritto.
Un’altra fotografia di Brassaï vede lo specchio ancora una volta protagonista, ma posto in un angolo dello spazio – si tratta di una stanza di un bordello – che riunisce i personaggi che si trovano al suo interno sulla superficie visiva unica della fotografia, unendoli allo stesso tempo anche in secondo piano unificato, posto nel quadro stesso dell’immagine. La figura della donna è presente soltanto sotto forma di immagine riflessa, non appartiene allo spazio “reale” anche se la sua posizione fa sì che vi sia un rapporto di contiguità spaziale diretta con il suo cliente. La Krauss scrive che il rapporto sessuale anonimo è rappresentato dalla giustapposizione dei due corpi senza volto negli specchi, attraverso la chiusura dei corpi che si voltano le spalle nello spazio reale. Questa operazione porta il nome di messa “en abyme” e consiste nel mettere all’interno di una rappresentazione un’altra rappresentazione che raddoppia la prima. La messa en abyme mostra che le fotografie sono immagini virtuali che non fanno che rinviare l’immagine del mondo del reale. Brassaï non soltanto aveva una sensibilità della stessa natura di quella dei surrealisti dunque, ma partecipava alla loro opera a un livello più profondo e più significativo.