A scanso di equivoci e per mettere le cose in chiaro, lo dico subito: la serie Supersex, in streaming su Netflix, mi è piaciuta, e anche molto. Com’è ovvio che sia, per un prodotto del genere, le opinioni sono parecchio contrastanti: ciò che ho riscontrato maggiormente, chiedendo ad amici e conoscenti, è stato l’abbandono della serie dopo una o due puntate.
C’è chi ha lamentato una certa ridicolaggine, chi la “solita” recitazione all’italiana, chi ha posto l’accento sul fatto che la serie abbia perso l’occasione di indagare il mondo del porno e il suo dietro le quinte, preferendo concentrarsi sulla figura di Rocco Siffredi come genio tormentato, andando a giustificare tutta una serie di scelte che, ad alcuni, appaiono un po’ forzate. Questa stessa utente ha aggiunto che la serie pare fatta per un bacino di spettatori – uomini – che potrebbe empatizzare con la storia personale del pornoattore.
Un altro amico ha trovato la serie “maestosa”, cito testualmente; un altro ancora ha confessato di aver proseguito solo per ammirare le nudità di Alessandro Borghi. Mio suocero, invece, molto candidamente (senza aver ancora visto la serie) ha ricordato il tempo della sua giovinezza, quando Siffredi era sul punto di diventare molto famoso, tempo in cui andava di moda prendere le misure per confrontarsi con quelle ben più “inusuali” dell’attore.
Che lo si ami o odi, Rocco Siffredi ha fatto la storia nel suo campo, dunque non mi meraviglia che una produzione si sia interessata a raccontarne la vita. Lo sottolineo ancora una volta: la serie non nasconde che è concentrata su di lui, lo dice esplicitamente. Una serie ispirata alla vita di Rocco Siffredi. Non è una serie sul mondo del porno, non è un racconto di tipo “salvifico” o atto a ripulire la sua immagine – anzi, al contrario, emerge l’aspetto patologico della sua passione per il sesso, reso (questo è uno SPOILER, dunque se non avete visto tutte le puntate saltate questo pezzo) vivido dalla scena del funerale di sua madre dove pensa bene di farsi fare una fellatio da una donna davanti alla fossa.
Che cos’è Supersex? È uno sceneggiato di sette puntate che vuole provocare ed eccitare. Fine. E sinceramente, per me, ha fatto l’uno e l’altro. Ha provocato domande e ha provocato eccitazione. Le scene sono esplicite, il linguaggio è esplicito, finalmente non appare solo la nudità femminile, ma anche quella maschile – integrale – i risvolti psicologici sono espliciti. Ispirata alla sua vita che vuol dire? È un biopic che prende spunto da aspetti biografici e ne romanza altri.
Mettiamo, ad esempio, il rapporto di Rocco Siffredi col fratellastro Tommaso, una persona realmente esistita (come pure il fratello minore Claudio): non ci è dato sapere se il suo vero nome sia Tommaso, quanti anni abbia e se le vicende raccontate nella serie siano aderenti al vero al 100%, fatto sta che Siffredi, quando ancora portava il cognome Tano, raggiunge un fratello maggiore a Parigi, città che darà il via alla sua carriera nel mondo del porno. Ugualmente, la bellissima figura di Lucia, moglie di Tommaso (e, probabilmente, grande amore di Rocco nella serie) non è mai esistita nella vita vera.
Ora, a me personalmente, che i fatti messi in scena siano veri o no interessa molto poco. Supersex è una serie d’intrattenimento e mantiene quello per cui è stata creata: intrattenere. Se vi approcciamo con lo scopo di filosofeggiare sul personaggio di Siffredi sbagliamo a monte: di Siffredi si sa quasi tutto, lui stesso ha sempre ammesso di avere problemi di dipendenza dal sesso, ha dichiarato molte volte di voler abbandonare il mondo del porno senza mai mantenere la parola, e la serie non aggira il punto, anzi, lo sottolinea. Lo dice Borghi stesso, nei panni del personaggio, lo dicono le attrici colleghe, lo dicono le amanti, lo dice Lucia su una panchina, verso la fine della serie, in una frase che fa più o meno così: “Io vi odio a voi uomini, i vostri cazzi mi hanno prosciugata”.
Perché alcune persone hanno abbandonato la visione dopo una o due puntate? Certo, si tratta anche di gusti personali, ma non si può dare la colpa alla capacità attoriale generale: anzi, le doti di tutti, nessuno escluso, sono state sorprendenti, in prima fila Borghi, Jasmine Trinca (Lucia), Adriano Giannini (Tommaso). Dunque non è un problema di scarsa capacità recitativa. Si tratta di un’antipatia per il personaggio di Siffredi, che può essere il simbolo di un patriarcato imperante negli anni Ottanta e che, oggi, è diventato stantio? Certo, può essere, ma se a me stesse antipatico – dico per dire – Jude Law non mi sognerei neanche di vedere Alfie o Il talento di Mr. Ripley (e sbaglierei, perché sono entrambi grandi film).
Potrebbe essere un preconcetto sulle serie di produzione italiana che, diciamolo, non sempre brillano per originalità. Potrebbe, ma non è nemmeno questo il punto. È vero che anch’io, prima di iniziarla, ho indugiato un po’: pensavo, ma sì, sarà la solita scemenza, sarà grottesco, sarà stupido, ma cosa me ne frega di Rocco Siffredi? Invece, ho visto le prima tre puntate di fila senza alzarmi dal divano.
Di Rocco Siffredi continua a non fregarmi niente, il nodo sta tutto nella genetica di una serie così: per una volta, non è una serie che si rivolge solo al piacere maschile. Io, da donna, l’ho trovata intrigante, eccitante, pur con tutti risvolti drammatici (che non sono pochi) e il focus è proprio qui, nel guardare qualcosa senza stare troppo a pensarci.
È una serie che ha per protagonista un uomo che ha fatto del porno la sua vita. Avrebbe potuto avere per protagonista anche qualcun altro, che so, Javier Bardem, come una donna come Moana Pozzi che pure compare nella serie, il risultato non cambia: non è un prodotto sul mondo del porno, non è un prodotto su cosa significhi essere una donna nel porno, non è un prodotto che parla di diritti paritari. È una serie sul sesso e lo fa vedere. Fine. Ci mostra Siffredi che scopa come un toro, Lucia che fa la prostituta a Pigalle, club per scambisti, fiamme di giovinezza che scoprono i piaceri del sesso, e in mezzo a tutto questo sessosessosesso in continuazione, vi sono sprazzi geniali come le conversazioni di Siffredi con Lucia.
Un dialogo in particolare, verso la fine della sesta puntata, l’ho trovato brillante: dopo una scena di sesso (SPOILER) estremo che vede Siffredi sodomizzare una donna ficcandole la testa nel water, Lucia gli fa una domanda chiave. “E se la donna avesse voluto fermarsi un attimo prima?”. Non è un quesito femminista come potrebbe sembrare, attenzione: è un modo per smontare il personaggio, scardinandolo dalla sua posizione di “re del porno” fino al livello di una prostituta di strada, che semplice prostituta non è. Sono entrambi dipendenti dal sesso, sono entrambi vittime della propria incapacità di amare in modo sano, Siffredi perché non può fare a meno di scopare, Lucia perché ama di un amore tossico Tommaso. L’hanno scelto. Non è stato imposto loro. Dunque si comportano come persone che scelgono di elevare il sesso a unico Dio della propria vita.
Una serie così, che lo rende palese, non è fatta per essere analizzata. Va vista per il piacere di passare del tempo, per il piacere di vedere Borghi nudo, come diceva quel mio amico che l’ha mollata alla prima puntata, perché è ben recitata, ben argomentata, riuscendo a non cadere nella trappola del volgare (cosa che era dietro l’angolo a ogni scena di sesso o di nudo).
Forse l’unica cosa che mi ha dispiaciuto è non aver approfondito quella figura estremamente misteriosa di Moana Pozzi. Ma questa non è una serie sulla vita di Moana Pozzi. Insomma, Supersex è puro intrattenimento, niente di più niente di meno.