Qualcuno, leggendo questo articolo, potrà facilmente incappare nell’errore di pensare che il problema sia la persona di Mario Draghi, come se ce l’avessimo direttamente con lui o come se lo ritenessimo un incapace, un cattivo o un pessimo Presidente del Consiglio. Tuttavia, sebbene non pensiamo che sia un buon Premier, visto che se ne infischia di qualunque cosa dicano i partiti che lo sostengono e procede avanti con i suoi Ministri tecnici più stretti – annullando di fatto il mandato rappresentativo che gli elettori hanno dato a questi stessi partiti e riducendo il tutto a un’oligarchia che esclude totalmente le posizioni opposte di questo o di quell’altro –, in realtà al centro delle nostre critiche sono coloro che gli stanno attorno: non fisicamente, intendiamoci, ma mediaticamente, ossia tutti quanti vorrebbero Draghi contemporaneamente Sindaco, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica e, perché no, Papa e imperatore.
Pensiamo, ad esempio, alla questione relativa al green pass, alla sua estensione e alla sua condizione essenziale per accedere sui luoghi di lavoro: comunque la si pensi, per quanto questo strumento sia funzionale alla tutela della salute e quindi – almeno per chi scrive – attualmente necessario, viene da chiedersi per quale motivo molti giornalisti e opinionisti abbiano spesso consigliato al Premier di lasciar perdere le polemiche e di proseguire per la sua strada. Le posizioni avverse a quella del banchiere appartengono (anche) a partiti che hanno un proprio peso nella maggioranza e in Parlamento dunque, pur trattandosi spesso di mera propaganda, non è giusto lasciarle cadere lì nel vuoto.
Si dirà che questo esecutivo è talmente eterogeneo che è complicato per chi lo gestisce stare dietro alle richieste e alle lamentele di ogni sua anima. Verissimo. Ma questo Draghi lo sapeva benissimo fin dall’inizio: allora, visto che è il migliore dei migliori con poteri ultraterreni, o è in grado di trovare una sintesi tra tutti oppure opta per un solo indirizzo, scegliendo di stare sulle posizioni dell’asse PD-M5S o su quelle del centrodestra.
Stesso discorso vale anche per chi gli chiede di restare dopo il 2023 – ma nessuno che ancora lo proponga, in vista delle prossime elezioni, come Presidente del Consiglio del proprio partito – e qui non si può non pensare a Carlo Calenda. Appena ha terminato la campagna elettorale nella Capitale, infatti, il leader di Azione si è dato subito da fare per proporre di isolare le forze sovraniste e populiste e di mettere insieme quelle che lui definisce liberali per continuare con Draghi.
Ora, a parte che non è detto che l’ex Presidente della BCE abbia la voglia di proseguire questo lavoro per altri cinque anni, quanto è poco democratico fare questa divisione tra buoni e cattivi, facendo rappresentare i primi, i pragmatici, da Draghi, e mettendo gli altri, cioè quelli che non fanno parte del giro, fuori? Lo stesso Calenda, in un’intervista di alcuni giorni fa, proponeva una coalizione che vada da Giorgetti a Bersani e che abbia in Draghi il proprio punto di riferimento. Cos’è questo, se non un miscuglio di elementi che sono agli antipodi e che è giusto che si combattano portando avanti ciascuno le proprie battaglie?
Ciò non vuol dire che sia vietato, se i partiti lo vorranno, unirsi sotto l’insegna di Super Mario – per quanto poco possa convenir loro, visto che i margini di manovra di ognuno si restringerebbero sempre di più –, ma significherebbe lasciar perire l’azione politica, facendo persistere una discutibilissima soluzione emergenziale in un blocco della rappresentatività.
Tale Draghicrazia è naturalmente accompagnata dalla funzione ancillare di parte della stampa nei confronti del Premier, la cui figura risalta talmente tanto sui giornali e nelle tv al punto che si è perso il senso della discussione politica: al di là di vaccini sì e vaccini no e di favorevoli e sfavorevoli al green pass, sfuggono altri dibattiti che siano in grado di riempire le pagine e i talk per più di due o tre giorni. Basti pensare alla riforma della Giustizia, al ddl Zan, allo Ius Soli, persino allo stato di emergenza: argomenti fondamentali ma sottaciuti in questo momento di enorme apatia politica.
Ecco perché, in fondo, la colpa non è solo del Presidente del Consiglio, che non ce lo immaginiamo di certo a cercare le lodi qua e là. Eppure, suo malgrado, fa quest’effetto, che sarà anche comodo a qualcuno che vuole seppellire il voto popolare, ma non fa bene allo stato della nostra democrazia.