Il 23 febbraio 1821, John Keats, vittima della tubercolosi, morì a soli 25 anni nella camera dell’appartamento che aveva affittato a Piazza di Spagna. La notizia della sua morte sopraggiunse presto a Percy Bysshe Shelley che compose un canto funebre in suo onore, Adonais: An Elegy on the Death of John Keats. Dopo aver pianto il compagno andato e aver declamato la sua immortalità nei posteri e nella natura, quindi, l’autore del Prometeo Liberato dedicò una delle strofe della sua lirica al luogo di sepoltura del suo amico:
Le smangia il Tempo Ottuso simile a un fuoco lento
sopra un vecchio ramo;
e una sublime piramide aguzza si leva
come una fiamma trasformata in marmo
quasi creando un padiglione alla polvere
di chi la disegnò come rifugio della sua memoria;
e sotto s’apre un campo dove una nuova schiera ha posto
nel sorriso dei Cieli il suo campo di morte,
ed accoglie colui che perdiamo e il cui respiro s’è da poco spento
Nei suoi versi, infatti, Shelley descrisse quel campo ricoperto di fiori ai piedi della Piramide Caio Cestio e circondato dalle Mura Aureliane in cui fu seppellito John Keats che oggi è compreso nel cimitero acattolico di Roma, noto anche come il cimitero del Testaccio.
Il luogo ha origini molto antiche. Sembrerebbe, infatti, che le prime sepolture risalgano al 1716 circa. La sua apertura fu necessaria in quanto la Chiesa Cattolica non accettava di accogliere nelle sue cappelle e in terra consacrata chi non ne condividesse il credo: bisognava, quindi, trovare uno spazio per dare degna sepoltura ai numerosi protestanti che abitavano la Città Eterna, soprattutto a quegli individui che vi risiedevano e che facevano parte della nobile corte itinerante degli Stuart in esilio dall’Inghilterra. Da allora, ogni giorno, al Testaccio il numero di lapidi straniere è andato sempre crescendo.
Attualmente è possibile vistare il cimitero degli artisti e dei poeti gratuitamente, ciò che viene richiesto è solo una piccola offerta per continuare a far vivere quel luogo che Henry James descrisse con le seguenti parole: Una mescolanza di lacrime e sorrisi, di pietre e di fiori, di cipressi in lutto e di cielo luminoso, che ci dà l’impressione di volgere uno sguardo alla morte dal lato più felice della tomba.
Quando si arriva al cancello situato in via Caio Cestio, la sensazione che si ha è quella di non essere più a Roma, ma di entrare in un mondo in miniatura dove la Germania, la Francia, la Danimarca e persino la Cina sono a un passo l’una dall’altra. Idiomi di nazionalità diverse si susseguono incisi sulle tombe, alcune eccessivamente lussuose, altre estremamente povere. E mentre si passeggia in questo luogo silenzioso, immerso nella natura, viene da immaginarsi le storie di tutti gli uomini sconosciuti che vi sono sepolti, mentre dei numerosi nomi famosi che si leggono viene da ripensare a tutte le loro gesta, ai quadri che hanno dipinto, ai versi che hanno scritto.
Così se quando si vede la tomba di Gramsci non si può far altro che meditare sulla sua filosofia, quando si raggiunge il monumento funebre dello scultore William Wetmore Story l’unica cosa da fare è restare estasiati dal suo Angelo del dolore, da quel marmo da lui scolpito nelle fattezze di un essere celestiale le cui ali invece di librarsi nel cielo sono piegate sotto il peso del dolore. E, ancora, quando si incontra il sepolcro di Karl Pavlovich Brullov non si può non rivedere davanti agli occhi il suo celebre dipinto L’ultimo giorno di Pompei, mentre sulla stele di Gadda si rivivono tutte le storie da lui raccontate.
Ma se tutti questi personaggi si ritrovano nel sonno eterno nella parte più affollata del cimitero acattolico, quella centrale che accoglie anche le lapidi del figlio di Goethe e dello stesso Percy Shelley, morto in acque italiane e portato a Roma per trovare la pace eterna, il famoso poeta inglese John Keats riposa in una zona più tranquilla e appartata. Infatti, sulla sinistra di questo cumolo di marmi c’è un piccolo sentiero che conduce a una distesa verde che si spiana ai piedi dell’antica piramide, quel campo di cui si narra nell’Adonais: è in questa area che, insieme a pochi altri, accanto al fedele Joseph Severn, colui che scrisse l’Endymion riposa eternamente commemorato dalle sue stesse parole: Qui giace uno/ il cui nome fu scritto sull’acqua (Here Lies One Whose Name Was Writ in Water).