Nell’incantevole cornice di Piazza San Francesco, a Matera, è avvenuto l’incontro Sud-Nord, un divario incolmabile? in occasione della festa di Avvenire 2023, Testimoni di futuro. Il tema dell’emergenza salute ha visto confrontarsi il segretario generale della CEI Giuseppe Baturi, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta e l’oncoematologo Fabio Ciceri, direttore del Cancer Center dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Presenti anche il direttore di Avvenire, Marco Girardo, e l’arcivescovo di Matera Caiazzo.
L’incontro, moderato dal giornalista Vito Salinaro e aperto a tutti i cittadini, ha avuto grande valore informativo e divulgativo. Una buona comunicazione sanitaria deve infatti far comprendere all’utenza concetti difficili con parole efficaci ed è un tipo di comunicazione sempre più rara al giorno d’oggi dove, purtroppo, si fa a gara a chi sovrasta l’altro senza puntare sulla qualità contenutistica. Il fine ultimo dovrebbe essere, sempre, l’utenza e in questo caso lo è stata.
La salute, dopotutto, è una tematica verso la quale è necessario convogliare le sensibilità della moltitudine e la buona comunicazione della medicina diviene fondamentale per effettuare educazione sanitaria.
Educazione e prevenzione sono due delle mie parole preferite, utilizzate sempre troppo poco, che dovrebbero prepotentemente rubare la scena alla parola cura. L’educazione sanitaria è infatti un’arma potentissima contro gli sprechi. Gli investimenti in capitale umano, dedito all’educazione, permetterebbero di poter effettuare una vera presa in carico dell’utenza. Consideriamo inoltre che afferirà al SSN una popolazione sempre più anziana, cronica e con bisogni assistenziali maggiormente complessi.
Parlare di salute e farla percepire, a tutti i cittadini, come inviolabile e inalienabile è necessario e questo diritto è sancito dalla nostra Costituzione che, purtroppo, oggi non stiamo pienamente onorando.
L’argomento cardine dell’incontro è stato quello del regionalismo asimmetrico che vede una voragine dalle proporzioni enormi tra nord e sud del Paese. La “pagella” di ciascuna regione in base alle percentuali di adempimento dei LEA (livelli essenziali di assistenza) ci mostra quanto questo fenomeno sia preoccupante determinando conseguentemente una migrazione sanitaria verso le cosiddette regioni virtuose. Una vera e propria mobilità sanitaria per l’accesso alle cure, agli screening e, addirittura, ai farmaci.
Proprio dalla possibilità di accesso alle cure innovative nasce una grande discriminazione. La discriminazione, in sanità, è un problema reale e tangibile. I tre gruppi più a rischio di discriminazione nell’accesso all’assistenza sanitaria di base sono: donne appartenenti a una minoranza etnica o migranti, persone anziane appartenenti a una minoranza etnica o migranti, giovani migranti o appartenenti a una minoranza etnica con disabilità intellettive. Il nostro sistema sanitario è infatti ancora universalistico ma alcuni principi stanno venendo meno. Le disparità tra regioni si acuiscono tanto da determinare una differenza di tredici anni di vita, in salute, tra chi abita in Alto Adige e chi in Calabria.
È complessa e variegata la storia del nostro Paese e la frase l’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani per certi versi, dal 1861, è ancora attuale. Regnano oggi come allora differenze tra regioni e scarso senso di vera unità. Da una parte vi è chi, come il presidente Attilio Fontana, sostiene che le Regioni lavorino meglio dello Stato, attribuendo la causa di molte problematiche a una cattiva programmazione da Roma. L’altra visione è quella che, pur mantenendo le proprie peculiarità, sia giusto escludere la tutela della salute dalle materie sulle quali le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Quest’ultima è la visione di Fondazione GIMBE per evitare di assestare il colpo di grazia a un SSN martoriato e sofferente.
L’arcivescovo di Matera Mons. Caiazzo cita ingiustizie e prevaricazioni che causano diversità: «Il Nord schiaccia il Sud dell’umanità in antitesi al simbolo del crocifisso che abbraccia l’umanità intera, senza distinzione alcuna». Il Sud diviene triste palcoscenico di emigrazione delle menti virtuose. Il Sud cede la forza propulsiva delle idee dei giovani che decidono di andarsene per ampliare le proprie prospettive occupazionali.
I dati ISTAT, riguardo questo fenomeno, mettono in luce una situazione drammatica e in continuo peggioramento. Nel decennio 2012-2021 sono stati circa 1 milione 138mila i movimenti in uscita dal Sud e dalle isole verso il Centro-Nord. Il bilancio tra uscite ed entrate si traduce in una perdita netta di 525mila residenti per il Mezzogiorno.
Non posso evitare il parallelismo tra questa scarsa attrattività occupazionale del Sud e la mancanza di attrattività verso la professione infermieristica, in crisi epocale. Questo dopo una pandemia che avrebbe dovuto mettere al centro dell’agenda politica proprio la figura dell’infermiere come cardine del SSN. I giovani neodiplomati, oggi, non scelgono più di intraprendere il percorso di Laurea in Scienze Infermieristiche poiché la mancanza di progettualità susseguitasi negli anni ha impedito, e impedisce tuttora, progressione di carriera, giusti riconoscimenti economici e dignità sociale.
Alla domanda: che cosa rende un qualcosa attrattivo? Risponderei che l’attrattività è direttamente proporzionale alla capacità di poter condurre una vita dignitosa. Attualmente molti medici di emergenza e urgenza, infermieri, professionisti che si impegnano nella relazione di cura non ci riescono. Così come le famiglie del Sud investono per costruire un futuro per i propri figli vedendoli “regalare” quelle capacità alle zone forti del Paese, medici e infermieri emigrano, spesso, all’estero dove i riconoscimenti economici e gli avanzamenti di carriera sono maggiori.
Gli incontri multiprofessionali e interdisciplinari rivolti alla popolazione possono essere un valido strumento per muovere le coscienze collettive, comunicando con umiltà e metodo. Cito il dott. Ciceri, oncoematologo dell’ospedale San Raffaele che afferma che «la ricerca è la capacità di identificare quello che manca. Guardare la parte scura della luna e non solo quella che brilla».
Dovremmo porci come dei ricercatori. Avere la capacità di evidenziare quello che manca come punto di partenza per la risoluzione dei problemi. Tutta quanta la classe dirigente dovrebbe perseguire questo atteggiamento poiché continuare ad aggiungere pietre su fondamenta scricchiolanti rischia di far implodere il sistema stesso.