Un brivido freddo si arrampica lungo la schiena, come il più tragico dei presagi: Berlusconi, Salvini e Meloni, incontratisi ieri a Palazzo Grazioli in vista delle prossime elezioni europee e regionali, sono pronti a firmare il nuovo patto dell’alleanza nel nome di un centrodestra a cui dare peso e spessore. «Da questa riunione esce la garanzia che il centrodestra è unito, funziona e non solo esiste ma anche resiste»: parola di Silvio, l’unico, vero burattinaio di un Paese di fantocci e spettatori inermi, ma consciamente paganti.
Si sono stretti la mano sancendo – di fatto – l’inizio delle operazioni di annichilamento del MoVimento, quarto incomodo, imbucato alla festa di qualcun altro. E la festa – a Grillo e seguaci – gliela sta facendo proprio l’attuale compagno di giochi, il Ministro Salvini, che dal 17% con il quale ha messo miracolosamente le mani sugli scranni più importanti del Parlamento e non solo, ha già succhiato ai pentastellati voti e consensi, come il più sadico dei vampiri, portando la Lega a ben oltre il 30% in soli sei mesi, strappandogli via, così, la fascia di primo partito italiano.
Prove tecniche di ammutinamento, dunque. La prossima tornata elettorale, infatti, sancirà il ritorno del trio Forza Italia-Lega-FdI, che userà il risultato delle urne per capire se i tempi saranno effettivamente maturi per il rovesciamento del governo nazionale, pronti a far un boccone di ogni poltrona possibile. Già, perché se le preferenze degli italiani dovessero trasformare i sondaggi in realtà, e quindi confermare la voglia di destra che sembra aver accecato ogni nostro connazionale, siamo convinti che, d’improvviso, i compromessi, che in questi mesi tengono a galla una legislatura improbabile, non saranno più accettati a cuor leggero dalle camicie verdi, forti del risultato che andrebbero a ottenere se si richiamasse la popolazione a votare. La maggioranza sarebbe, a quel punto, cosa fatta, e tanti saluti all’impalpabile Di Maio, il pagatissimo Casalino e chi per loro.
«Se volete un mio pronostico», ha aggiunto l’ex Cavaliere, «credo che in un futuro non lontano il centrodestra tornerà finalmente di nuovo alla guida del governo e del Paese per fortuna degli italiani. Usciremo presto da questa situazione di ubriacatura». Game. Set. Match.
E a proposito di poltrone che contano, sul tavolo delle trattative, pare ci sia finito anche il nome di Marcello Foa per ciò che riguarda la Rai. Giorgia Meloni, anch’essa raggiante, come neppure i suoi cartelloni pubblicitari ritoccati l’avevano mai dipinta, dopo l’incontro di Roma ha così commentato: «Il dubbio che il rapporto tra Lega e Cinquestelle fosse qualcosa di più c’era, invece Salvini ha chiarito che la Lega bene o male è ancorata al centrodestra. La Lega non è passata dall’altra parte. Si stanno rendendo conto che è difficile trovare sintesi con una forza diversa sul piano delle idee: i Cinquestelle sono strutturalmente di sinistra.»
Ben gli sta! Verrebbe da pensare, se solo il futuro dell’Italia non fosse – ahinoi – anche il nostro. A furia di sbugiardarsi, di rimangiarsi promesse e arroganze da sedicenni, consentire stipendi e privilegi degni di quelli che sempre hanno combattuto (e ancora fanno finta di combattere), quelli del MoVimento vedono i loro seguaci trasmigrare verso chi, oggi, ce l’ha più duro – il Vaffa s’intende –, ossia, Matteo Salvini, dipinto come il difensore del popolo martoriato dalla vecchia politica e invaso dagli immigrati clandestini, per di più, ora anche martire di una giustizia sempre lasciva verso i predecessori e, d’un tratto, inflessibile nei riguardi del Capitano, come battezzato dai suoi.
Toccherà, adesso, alla Flat Tax, che difficilmente i grillini avranno la forza di contestare, e ogni roboante promessa del trio sarà andata a buon fine, o almeno gli elettori così crederanno. Perché a nulla servirebbe sottolineare che questo governo sta perdendo più posti di lavoro di qualunque altro lo abbia preceduto. A nulla servirebbe far notare come le accise sulla benzina, la Legge Fornero, siano ancora ognuna al proprio posto. Figuriamoci che sforzo inutile sarebbe evidenziare come, a oggi, i provvedimenti beceri presi sulla pelle degli africani approdati in Italia siano il risultato soltanto di tweet ben piazzati e non di leggi approvate dal Parlamento. Sarebbe un compito da opposizione – a trovarne una – o proprio da quei 5 Stelle incazzati come li ricordavamo prima che il fascino della politica li travolgesse con tutti i suoi benefici.
Rompere con Salvini, infatti, potrebbe segnare il più atroce degli autogol da parte dei pentastellati, già fregati dal disegno ben congegnato dal trio (di cui spesso abbiamo ipotizzato e che, finalmente, sta rivelando le proprie reali intenzioni). Forse – come il Soldato Fico si è spesso auspicato – il MoVimento dovrebbe ritrovare la propria voce, fare la propria politica, aprire alle forze democratiche del Paese e recuperare in quanto a credibilità. Certo, non garantirebbe la salvaguardia di quella maggioranza che in tanti anni di piazzate è riuscito a guadagnarsi, ma potrebbe almeno non costargli del tutto la faccia. E siccome le poltrone gli verranno presto sfilate comunque da un Berlusconi tirato a lucido e pronto a tornare in campo, forse, non sarebbe una prospettiva così da trascurare.