Guglielmo Speranza è il nome del protagonista di una tra le più belle commedie scritte e interpretate da Eduardo De Filippo, Gli esami non finiscono mai, cognome non casuale di un uomo vissuto sperando di realizzare i propri sogni.
Gli esami non finiscono mai, come anche Ha da passà ’a nuttata – citata in un altro capolavoro eduardiano –, due frasi entrate nell’uso quotidiano che bene si identificano in quella che da sempre è oggetto di luoghi comuni, stereotipi, banalità perpetuati all’occorrenza da chiunque voglia parlare di Napoli, di una città sfruttata da intellettuali e pseudo tali come una prostituta sempre pronta all’uso. Perché in fondo, per quanto puttana sia considerata dagli infangatori di mestiere, fa audience e, quindi, largo allo sputtanapoli.
Non si intende qui dare ulteriore visibilità ai soliti noti di un giornalismo mortificato e abusato al servizio di ben determinati ambienti di quella politica che non ci stancheremo di definire piccola e meno che mediocre. Si intende sottolineare – purtroppo – l’operato dei taluni capaci soltanto di una narrazione a senso unico, di una superficialità inaccettabile che esigerebbe un ritorno sui banchi di scuola dopo qualche ora trascorsa dietro la lavagna.
Il pessimo servizio andato in onda pochi giorni fa a firma di Corrado Augias è soltanto uno dei tanti esempi di ricorso a quel solito contenitore da cui estrarre i cavalli di battaglia di una narrazione che evidenzia le negatività, mali – pur veri – che a tutti i costi occorre sottolineare per uniformarsi a una rappresentazione in stile Gomorra che tanto paga in termini di ascolti e non solo. La puntata raffazzonata è stata preceduta da un intervento dello stesso autore in altra trasmissione, sulla stessa rete, durante la quale Augias padre – anche qui uno dei tanti cognomi che si riproducono nel nepotismo del giornalismo radiotelevisivo, oltre che nella carta stampata – ha dato il meglio di sé con la solita, prevedibile e scontata frase sulla sorpresa di aver trovato una città tanto diversa da come la si racconta abitualmente. Un paternalismo in verità molto in voga tra saccenti commentatori e opinionisti da salotto, dove regnano la superficialità e l’ignoranza assoluta su temi che richiederebbero approfondita conoscenza e per i quali, invece, si ricorre agli ormai soliti luoghi comuni, al sentito dire o ai titoli del trash giornalismo di ispirazione feltro-sallustiano o, peggio, a un’indigestione da serie televisive.
Per parlare di segreti e misteri di una città come Napoli, anziché consultare Wikipedia, sarebbe stato più producente attingere ad autorevoli autori di ieri, tra i tanti De Bourcard e Mastriani; di oggi come La Capria, Rea, Ortese; fino ai nostri giorni, con il giovane Marco Perillo che a proposito di città segrete ha dedicato due libri ai quartieri e ai misteri partenopei. Senza voler entrare nel merito di un reportage che ha tutta la parvenza di un prodotto assemblato volutamente in maniera squilibrata nei tempi di ciascun argomento, appare quantomeno diplomatico il commento dell’ottimo Maurizio de Giovanni che non intravede alcuna offesa nei confronti della città, ma concorda sulla realizzazione di un servizio alquanto superficiale.
Il peggior vizio è la superficialità, diceva Oscar Wilde. Peggiore è quando ad accompagnarla è la malafede, diciamo sommessamente noi e, certamente, non riferendoci al solo caso specifico ma a tutta quella letteratura e a quella pubblicistica che da sempre tendono a dare la solita lettura oleografica della città partenopea con un fermo immagine fuori dalla realtà. Non si tiene alcun conto, infatti, delle trasformazioni, della vivacità culturale, della maggiore attenzione ai beni comuni, alle tante associazioni giovanili che operano nel volontariato a servizio dei territori, del recupero di quartieri difficili. Di un’attenzione sempre maggiore alla legalità e una criminalità, seppur presente, tenuta fuori dalla gestione amministrativa della terza città del Paese. L’unico elemento di novità, anche se non secondario, la bella metropolitana con le sue prestigiose stazioni che agli occhi degli osservatori appare il solo miracolo dopo quello dell’amato Santo Patrono.
Puntuale torna, allora, Guglielmo Speranza a ricordarci che gli esami non finiscono mai, eternamente sotto la lente di ingrandimento di implacabili e severi giudici, pronti ad additare un popolo ritenuto perennemente con l’anello al naso, che si diletta tra pizze e mandolini, finanche baciato dal sole, proprio come in una foto in bianco e nero dei fratelli Alinari che ritrae una città in attesa di tempi migliori. Ha da passà ’a nuttata, una fine che stenta a intravedersi e a cui certa narrazione non contribuisce di certo, avallando stereotipi figli di un’ignoranza avvolta nel buio più scuro di una notte che farà fatica a passare.