L’Organizzazione “Sociedad Benefactora y Educacional Dignidad” avrà l’obiettivo di prestare aiuto a bambini giovani e bisognosi mediante un’educazione sana tanto sul piano fisico come su quello morale, dando loro un’istruzione etica, scolastica, tecnica e agricola perché essi possano costruirsi una vita degna. Al fine di portare a termine tali obiettivi, l’Organizzazione si prefigge di […] fornire ai minori un vero e proprio ambiente familiare, insegnando loro il rispetto della dignità umana e preparandoli e rendendoli adatti a diventare membri utili della società.
Recita così un frammento dello Statuto istitutivo di Colonia Dignidad, colonia nazista costituita in Cile nel 1961, al centro di Sprinters. Una storia di Colonia Dignidad, il romanzo di Lola Larra arrivato poche settimane fa nelle librerie a opera di Edicola Ediciones.
Già oggetto di numerosi racconti e film in seguito all’apertura di molti casi giudiziari che hanno portato a galla le atrocità che vi si commettevano, le vicende di Colonia Dignidad si dipanano, qui, dal punto di vista di una scrittrice che, appassionatasi a esse, ne compone una sceneggiatura, intervistando chi è sopravvissuto, cercando di ricostruire i più oscuri particolari e facendo emergere la verità di quanto accaduto all’interno di quelle mura praticamente impenetrabili. Le storie che si raccontano, spesso narrate da fuggiaschi, ci mostrano un vero e proprio impero gestito dallo Zio Paul in cui sono rigidamente separati uomini, donne e bambini. Questi ultimi sono sia tedeschi sia cileni sottratti alle famiglie e sono coloro per i quali la vita è più dura. Sottoposti a continui abusi, gli sprinters sono i “prediletti” dello Zio Paul e ne costituiscono il seguito. Le loro testimonianze sono sicuramente le più toccanti: parlano di una vita fatta di violenze così frequenti da diventarne assuefatti. Per loro, la condizione di sprinters è come un privilegio, per questo negano qualsiasi aiuto.
All’apparenza, i bambini vengono educati e formati in maniera rigida e resi dei buoni cittadini. Ma cosa si nasconde, davvero, dietro le piatte parole dello Statuto di Colonia Dignidad? È proprio in seguito alla morte sospetta di uno degli sprinters che la protagonista decide di partire per ricostruire la verità, cercando di vincere la reticenza dei cittadini che sono ancora affezionati all’idea della colonia solo perché non hanno mai conosciuto null’altro e il mondo fuori è stato sempre presentato loro come terribile.
Una delle testimoni è Lutgarda che nega tutte le vicende che si raccontano sul posto. Con lei intercorrono gran parte dei dialoghi più significativi: attraverso le sue parole, per la sceneggiatrice, originaria del Cile, la storia di Colonia Dignidad diventa una sorta di ritorno al passato e di ricerca interiore. Due donne, entrambe sole e incomprese, dalle esistenze diametralmente opposte, eppure così vicine, capaci per questo di coltivare un’amicizia nella necessità di ritrovarsi.
Sono nata in Cile, ma non potevo dire che ci stessi tornando: non avevo mai vissuto qui. Quando avevo quattro anni i miei genitori hanno scelto l’esilio in Venezuela e non abbiamo mai più rimesso piede nel Cile di Pinochet.
Il racconto è un riscoprirsi intimo, un alternarsi di vicende politiche legate alla dittatura di Pinochet, testimonianze e interviste, oltre che di parti della sceneggiatura mai messa in scena, accompagnate da disegni di Rodrigo Elgueta. La struttura del libro è, infatti, ibrida e Lola Larra dimostra una grande abilità nel passare da uno stile all’altro, sposando ogni volta il punto di vista del personaggio che sta raccontando. La stessa autrice ammette di non saper riconoscere nel suo scritto un genere narrativo specifico. Ciò probabilmente rende Sprinters speciale: il testo non è solo in grado di informarci su una parte di storia spesso sconosciuta, ma ci mette di fronte alla debolezza e insieme alle atrocità umane, ponendoci degli interrogativi, tra realtà e finzione.
Centrale è il ruolo della verità, tanto rincorsa e difesa da più parti, ma sempre sfuggente: ciascuno è così immerso nella propria da non saper riconoscere le menzogne davanti ai suoi occhi, né le verità altrui.
Vuelvo, amor, vuelvo, a saciar mi sed de ti. Vuelvo, vida, vuelvo, a vivir en mi país. Traigo en mi equipaje de destrierro amistad fraterna de otros suelo. Atrás dejo penas y desvelos, vuelvo por vivir de nuevo: Torno, amore, torno, a placare la mia sete di te. Torno, vita, torno, a vivere nel mio paese. Porto nella valiga dell’esilio l’amicizia fraterna di altre terre. Mi lascio alle spalle dolori e insonnie, torno per vivere di nuovo tutto intero.
A leggere oggi simili racconti pensiamo immediatamente ai famosi campi di lavoro, descritti come delle fattorie accoglienti e vivibili, in realtà atroci campi di concentramento. Allo stesso modo, Colonia Dignidad presenta schemi di sottomissione terribili, una prigionia per gli abitanti e l’eliminazione di qualunque possibilità di scelta.
E così l’intenzione non è solo ricostruire la vita della colonia – un vero e proprio Stato dentro lo Stato, in cui i cittadini erano governati da un sistema quasi feudale in cui il padrone era onnipotente – ma, soprattutto, cosa abbia comportato per i coloni vivere del tutto isolati.
Al di là della terribile realtà in cui erano rimasti immersi, al di là delle torture a cui erano stati sottomessi, dei lavori forzati, delle droghe con cui venivano ammansiti, io volevo sapere come pensa e come vede il mondo una persona cresciuta senza televisione, senza giornali, senza notizie, senza poter camminare per strada.
E noi ci siamo mai chiesti cosa significa?