Emanuele Tufano, un ragazzo di 15 anni, è stato ucciso a colpi di pistola il 23 ottobre in Corso Umberto, a Napoli. Nella notte fra il primo e il due novembre, un altro ragazzo di 19 anni, Santo Romano, calciatore, è stato sparato al petto dopo una rissa per futili motivi da un diciassettenne da poco uscito dal carcere minorile di Nisida dove era detenuto per spaccio. È morto.
Non si può considerare qualsiasi organizzazione criminale giovanile – ancor più se composta da minori – e qualsiasi ragazzo che delinque come fenomeno estraneo alla società in un cui è nato e cresciuto. Non si possono ascoltare queste notizie e relegarle ai cinque minuti di un telegiornale o alla chiacchiera superficiale davanti a un caffè di giornate banali e insensate. Per provare a leggere una devianza è necessario provare a interrogarsi su quella che si considera o si presuppone essere la retta via, sulla “normalità”. E se la normalità diventa crudele per gli adulti di ogni strato sociale, come e perché ci si sorprende se a delinquere e a degenerare sono dei ragazzini sperduti? Se i ragazzi non sono più ragazzi, forse è perché gli adulti hanno smesso di essere adulti. La crescita richiede attenzione, cura, dialogo. La degenerazione probabilmente germoglia nella solitudine. La sete di potere nasce quando ci si sente impotenti.
E io sono offesa. Sono offesa dall’ambizione malata per cui si deve correre in modo sfrenato senza mai chiedersi dove si stia andando e soprattutto perché. Sono offesa dal denaro inteso come passaporto imprescindibile per circolare nella società. Sono offesa da una collettività incapace di essere e fare gruppo. Sono offesa da ogni singolo per cui conta solo essere “io”, per cui l’altro non esiste se non come individuo da giudicare nella migliore delle ipotesi, come nemico da battere nella peggiore. Sono offesa dal non riconoscere più il valore del dono per quello che è: un dono. E per sua natura immune ed esente da ogni tornaconto.
Sono offesa da ogni genitore che smette di educare e usa schermi per zittire un bambino e non metodi alternativi per farlo esprimere. Sono offesa da chi ha lasciato sola una madre che, disperata, a maggio scorso ha denunciato suo figlio per la sua condotta violenta e rischiosa. È il caso di una madre che ha visto lo stesso figlio rimanere ferito nella sparatoria in cui è morto Emanuele Tufano, appena cinque mesi dopo la denuncia.
Sono offesa dalla svalutazione di ogni forma d’arte e cultura. Da una scuola organizzata per essere sempre più dentro la burocrazia delle carte e sempre più fuori dalla vita dei ragazzi. Sono offesa dai servizi sociali per cui non si investe, l’importante è sottopagarli. Non importa se poi un ragazzo da poco uscito dal carcere di Nisida spara. Non importa se, a San Sebastiano al Vesuvio, un ragazzo di 19 anni che sudava e credeva in un sogno onesto muore. Davanti a una tomba e sempre, il denaro è solo carta straccia e il disamore e l’incuria gli unici colpevoli.
Sono offesa e sono addolorata. Per i vincitori e per i vinti. E perché sì, corriamo tutti ma la verità è che, come mi ha detto un’amica qualche giorno fa, non si arriva da nessuna parte. E se un minorenne uccide e un ragazzo appena maggiorenne muore, a perdere siamo tutti. E la vita non torna indietro.