La teoria della sostituzione è un mito neonazista secondo il quale i bianchi vengono sostituiti dai non bianchi. Spesso, come tante teorie cospirative, in ultima analisi gli ebrei vengono indicati come i veri colpevoli. Oggi la grande sostituzione è un mito della cospirazione di estrema destra, diffuso in Europa negli ultimi anni, composto da due fattori. Il primo sostiene che l’identità occidentale sia sotto assedio da parte di massicce ondate d’immigrazione da paesi non europei, portando ad una sostituzione degli europei bianchi sul piano demografico. Il secondo afferma che questa sostituzione sia stata orchestrata da un misterioso gruppo come parte di un loro grande piano per dominare il mondo – cosa che faranno creando una società totalmente omogenea sul piano razziale. Questo gruppo viene spesso identificato con gli ebrei/sionisti.
È questa la definizione che il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri offre a chi, come Francesco Lollobrigida, crede che nel nostro Paese più di qualcosa stia cambiando. Il portale li chiama Pregiudizi Antisemiti ma, anche, Grande Sostituzione. E, non a caso, è sostituzione la parola che il cognato di Giorgia Meloni – attuale titolare del dicastero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare – utilizza al congresso nazionale della Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori (CISAL). Arrenderci a essa, dice, significa non pensare all’Italia di dopodomani. Vanno incentivate le nascite, sostiene, sennò gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro.
Le dichiarazioni di Lollobrigida arrivano nel giorno in cui Mattarella ripercorre le strade della memoria in quella Polonia che ancora porta i segni della guerra. Arrivano nell’anniversario della prima legge razziale del 1937, quando il fascismo impedisce i rapporti di indole coniugale tra italiani e nativi delle colonie. Arrivano nella settimana della Liberazione. E non sono una sorpresa. Non lo sono perché la matrice del governo Meloni non ha mai lasciato dubbi: fascisti erano, fascisti sono, fascisti saranno.
A blaterare di sostituzione etnica, infatti, non è soltanto Lollobrigida. Nel 2015, ad esempio, vi fa riferimento l’attuale Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, appena eletto leader della Lega Nord, che parla di invasione pianificata nel Paese e di sostituzione etnica dei nostri lavoratori con dei disperati. Un tentativo coordinato dall’Europa attraverso i migranti. Salvini si propone, dunque, quale difensore di padani indiscriminati, vittime di pulizia etnica, di sostituzione di popoli. Addirittura, ai danni degli italiani, parla di genocidio.
Nel 2016 tocca, poi, a Giorgia Meloni. Anche per lei sono in corso le prove generali di sostituzione etnica in Italia. Negli anni successivi, lo ripete in diverse occasioni: ai congressi, in tv, nei suoi comizi concitati, di certo anche a cena con il cognato. Oggi siede a Palazzo Chigi, ma non sa cosa pensa la Presidenza del Consiglio di supposta teoria. O, forse, lo sa ma non le interessa: per taluni, le istituzioni sono soltanto il mezzo, mica il fine.
Quello di Lollobrigida, Salvini e Meloni è un ritornello che, da tempo, gli estremisti di destra ripetono per far leva sul malcontento che alcune fasce della popolazione vivono sempre più forte, e non a causa degli immigrati. È nei primi anni del dopoguerra, infatti, che si comincia a parlare per la prima volta di sostituzione etnica. Theodore Bilbo, senatore democratico statunitense, sostiene la superiorità della razza bianca caucasica, che reputa in pericolo a causa degli incroci con altre razze. Poi, tocca a due romanzi: Il campo dei santi di Jean Raspail (1973) e The Turner Diaries di William Luther Pierce (1978). Pur essendo entrambi distopici, diventano presto fonti di ispirazione per coloro che intendono sistematizzare la teoria della grande sostituzione.
Il concetto, tuttavia, comincia a diffondersi in maniera capillare solo nel 2005 con il libro Addio, Europa. Il Piano Kalergi, secondo cui le migrazioni di massa che stanno segnando l’epoca moderna sarebbero un progetto studiato e messo in atto dalle élite europee, di matrice ebrea e liberale, per eliminare prima la democrazia, ossia il governo del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale. La razza bianca, infatti, deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente dominabile. L’autore, Gerd Honsik, è uno di quelli che negano l’esistenza dell’Olocausto, eppure più di qualcuno sposa le sue deliranti teorie.
Da sostenitore e sedicente studioso, Renaud Camus, autore de Le Grand Remplacement, è colui che meglio definisce la sostituzione etnica per come ci viene propinata oggi. Anche nella sua opera, infatti, si parla di élite rimpiazzanti con chiaro riferimento alle popolazioni africane e mediorientali il cui arrivo nel Vecchio Continente sarebbe sostenuto dall’urgenza di risposta al calo del tasso di natalità che sempre più interessa l’Europa (e l’Italia) al netto di quel genocidio per sostituzione che si ripropone, ancora, nel dibattito pubblico.
Stando a Honsik, poi a Camus, dietro a tutto questo vi sarebbe Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, un conte di origini austriaco-giapponesi nato alla fine dell’Ottocento a cui si devono i primi progetti di un’Europa unita. Mentre in Italia si scrivevano le leggi razziali e in Germania il nome di Adolf Hitler cominciava la sua scalata alla Storia, Kalergi pubblicava infatti il Manifesto Pan-Europeo, il sogno di Stati uniti e collaborativi anche nel continente. Il pensiero, decisamente sovversivo per l’epoca, lo costrinse a fuggire presto: dalla Francia alla Svizzera, al Portogallo e, infine, negli USA. Solo dopo la guerra, a Kalergi fu riconosciuto il Premio Carlo Magno, a sottolineare il suo impegno per il mondo di domani. Non poteva sapere, allora, che pur non avendo mai parlato di sostituzione etnica a lui sarebbe stata attribuita la teoria di coloro dai quali era scappato per tutta una vita.
In Italia, prima di diventare strumento di propaganda politica, nel 2015 l’espressione viene ripresa da Matteo Simonetti nel primo libro dedicato al tema nella nostra lingua e qualcosa inizia a cambiare. Da questo momento, a far leva sulla paura di perdere i privilegi che la classe medio-bassa vede sottrarsi ogni giorno di più pensano gli estremisti che, nel giro di poco, finiscono con il ricoprire i principali incarichi istituzionali nel Paese e siedono dove non dovrebbero. Parlano di patria, italiani e italianità, eppure, anziché a tutela dei figli della nazione, l’identitarismo di destra si traduce nella negazione di diritti: asili nido gratuiti, salari degni di questo nome, sussidi in caso di disoccupazione o dinanzi a situazioni che necessitano, inevitabilmente, del supporto dello Stato. Tutte misure, queste, che almeno nel nostro Paese vengono bollate, con fare sprezzante, come di sinistra e, invece, dovrebbero essere tra le primissime misure da mettere in campo per pensare al dopodomani che preoccupa Lollobrigida.
Non è un caso che il Ministro utilizzi certe parole. Non sono scivoloni i suoi, così come non lo sono mai stati per Salvini o Meloni. Sono soltanto la più facile risposta a cui rifarsi quando risposte concrete non sono sul piatto. D’altronde, lo spauracchio della sostituzione etnica è la fava capace di attirare almeno due piccioni: natalità e aborto. Sono questi, da sempre, i temi più cari a una certa destra, quella che pretende il controllo sul corpo delle donne – che non possono non fare figli – mentre le colpevolizza delle mancate nuove nascite senza averle messe in condizioni socio-economiche dignitose sufficienti a garantire nuova vita. La stessa Meloni, in chiave più velata, ha sottolineato l’urgenza che queste lavorino così da non aver bisogno degli immigrati. La Presidente del Consiglio, però, sa benissimo che a mancare, nel suo discorso, è il nesso causa-effetto.
L’obiettivo è un altro e non si distanzia dal controllo di cui sopra. Alcuni tra gli attentati terroristici messi in atto dai suprematisti bianchi in questi anni si sono direttamente rifatti all’utilizzo di suddetti termini. È il caso di Brenton Tarrant, autore dell’assassinio di 51 persone in Nuova Zelanda – sulle cui armi si trova anche il nome di Luca Traini – o dei terroristi della strage del 2019 a El Paso e nel 2022 a Buffalo, negli Stati Uniti. È un linguaggio che da Donald Trump a Victor Orbán non si è risparmiato nessuno, loro che sono i modelli di questi politici e di questa classe dirigente che, però, dirigere non sa. Si finisce, allora, con la costruzione di un nuovo nemico, sempre lo stesso: il migrante, lo straniero, colui che non ci appartiene. La storia, d’altra parte, è circolare ma sa pure insegnare: la destra è destinata al fallimento così, più di una razza meticcia, è di un popolo spaventato che ha bisogno. Il solo facilmente domabile.